“Chi non ha visto il mare, non saprebbe dire
quel gran moto e quel baccano e quel pandemonio d’arrabbiati. Un mare, proprio,
un mare di teste cretine e feroci, di brutti ceffi, di giacche strette, di
stivali lucidi, di medaglie, di pennacchi, di pistole, di fucili, di schioppi,
di bombarde, un mare di sgherri, e su quel mare, come una galera trionfa, come
un vascello cullato dalle onde, il Grande Imbecille galleggiante a cavallo,
tronfio, superbo, soddisfatto, grasso, unto, la pappagorgia, la nuca piena di
lardo….
Che piacere trovarselo lì sotto, a cavallo,
e che non ti può più metter le mani addosso, e che gli puoi dire in faccia quel
che ti pare e piace, e puoi finalmente ripagarti di tutti i torti, le offese,
le vigliaccate, le prepotenze non sofferte da te soltanto, da dagli altri, da
tutti….
Vent’anni son lunghi. Più lunghi di cinque,
di sette, di dieci, di tredici. Più lunghi di cinquanta di sessanta di
duecent’anni. Più lunghi di un istante, più lunghi di un secolo. Quei vent’anni
son lunghi. Non passavano mai. Pareva che il tempo andasse all’indietro.
Vent’anni di galera. Non passavano mai. Vent’anni, quei vent’anni. Eravamo
ragazzi, eravamo tutti bravi ragazzi. Abbiamo fatto i capelli grigi, perso i
denti, messe le rughe, ci siamo incattiviti, invigliacchiti, incarogniti.
E non avevamo che quelli, non avevamo da
vivere che quei vent’anni….
Eravamo puliti, di bucato, siamo usciti
pieni di macchie, di sudiciume. Di unto.
Com’era possibile credere a qualcosa? a
qualcuno?
Eravamo come ragazzi che vedevano entrar la
mamma in un bordello. Eppure non ci siamo avviliti, non ci siamo disperati.
Abbiamo aspettato, abbiamo lavorato, ci
siamo rifatti a poco a poco le nostre illusioni. Abbiamo aspettato. Abbiamo
fatto i calli alle prepotenze, alle vigliaccherie, alle lusinghe.
Lo abbiamo preso in giro, il Grande
Imbecille! …
Lo stavamo ad ascoltare a bocca aperta, gli
si batteva le mani, gli si diceva «bravo, bene, bis» e lui ci credeva, gli si
tendeva il braccio, e lui ci credeva, gli si gridava «come canti ben canti ben»
e lui cantava.
Gli si diceva «sei un eroe, sei l’Eroe» e
lui ci credeva e gridava «Anche voi siete eroi, siete tutti eroi» e lui credeva
che noi gli si credesse, e si pavoneggiava al balcone, si metteva le mani ai
fianchi, faceva la bocca a culo di gallina, tirava in dentro la pancia, si
molleggiava sui ginocchi, il Grande Imbecille.
Quando camminava, pareva che camminasse
davanti a uno specchio.
Si guardava sempre nello specchio,
camminando. Non guardava nessuno in faccia, lui, guardava la sua faccia nello
specchio invisibile, il Grande Imbecille!
Ci gridava «A chi l’Italia» e noi subito, a
botta e risposta, «A noi!», e lui ci credeva, il Grande Imbecille. Se la
tenesse per sé, la sua Italia!
Se la tenesse tutta per sé, quella sua gran
puttana d’Italia!
Che voleva che se ne facesse, noialtri,
della sua porca Italia!
In un bello stato l’aveva ridotta, quella
sua povera Italia!
Da sputarci sopra, e poi e poi! Credeva
veramente che non ci fosse altro che la sua?
Lo vada a domandare…..qual’é la vera Italia!
Se lo faccia dir…qual'é la nostra Italia!...
Ah quel Grande Imbecille! Veramente credeva che gli Italiani fossero diventati quel che lui voleva, tanti eroici conigli, tanti servi obbligatissimi, tanti buffoni alla sua mercé: e non s'accorgeva ch'era tutta una truffa, una delle solite truffe che gli Italiani fanno a chi li comanda, a chi fa la voce grossa in piazza, a chi si crede un Grand'Uomo.
Bella storia, la sua, E bella storia, la nostra! Con la paura che aveva addosso di noi, e con tutta la paura che s'aveva addosso di lui. Un bel contratto, non c'è che dire.
Ma la luce è giusta, e l'ora è giusta: ed è proprio questo il momento, dopo vent'anni, che finalmente ci guardiamo in faccia, che finalmente gli ridiamo in faccia, a quel
Grande Imbecille."