martedì 9 aprile 2013

DA VECCHIO COMUNISTA NAPOLITANO CERCA LE GRANDI INTESE NEGATRICI E DISTRUTTIVE DELLA POLITICA.



È nei momenti topici che per il Partito Comunista Italiano è stato normale cercare l’accordo con il potere costituito qualunque esso fosse.
Era stato normale che nell’agosto 1936 il PCI pubblicasse su Lo Stato operaio un appello “Per la salvezza dell’Italia riconciliazione del popolo italiano!” che inneggiava, con tanto di punti esclamativi, al programma fascista del 1919:
Popolo Italiano!
Fascisti della vecchia guardia!
Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori….”
Appello che terminava con un:
Diamoci la mano, figli della nazione italiana! Diamoci la mano, fascisti e comunisti, cattolici e socialisti, uomini di tutte le opinioni. Diamoci la mano e marciamo a fianco a fianco….”.
(I brani dell’appello in Vittorio Vidotto, Il Partito Comunista italiano dalle origini al 1946, Ed. Cappelli, Bologna, 1977, pag. 314ss).
Questo appello venne firmato dai maggiori dirigenti del PCI, primo firmatario: Palmiro Togliatti.
Nel 1947 la cosa si ripeté, questa volta la collaborazione da cercare non era più con i fascisti, ma con i democristiani.
Sotto la presidenza del comunista Terracini si riunì l’Assemblea Costituente nella seduta pomeridiana del 25 marzo 1947, per votare l’art. 7 della Costituzione, quello che recepì i Patti Lateranensi del 1929 e li mise nella Costituzione nata dalla Resistenza.
I parlamentari democristiani che non erano certi del voto favorevole dei colleghi comunisti, ignari dei contatti ufficiosi tra Togliatti e De Gasperi in favore dell’art. 7, gridarono contro Togliatti, che rispose:
Sono convinto che in un consesso di prelati romani sarei stato ascoltato sino alla fine con più sopportazione di quanto voi non mi abbiate ascoltato.”
(in Capitini Aldo, Piero Lacaita, stato sovrano e ipoteca clericale. Gli Atti dell’Assemblea Costituente sull’art. 7, Lacaita Ed., 1959, pag. 483).
Dal ché  si può capire che Togliatti avrebbe preferito parlare della Costituzione italiana più con i prelati vaticani che non con i parlamentari italiani.
Andiamo avanti. Le “larghe intese” a cui si riferisce in questi giorni Napolitano negli anni ’70 quando furono teorizzate venivano chiamate “compromesso storico”, cioè compromesso, collaborazione tra DC e PCI “per la salvezza nazionale”.
Compromesso storico per la salvezza nazionale che trovò il suo culmine - praticamente il suo inizio e la sua fine - nei giorni dell’uccisione dei cinque uomini - Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi -  della scorta di Aldo Moro e del suo rapimento e poi uccisione, ad opera  delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978.
Strage di via Fani e procedura d’urgenza per la fiducia al governo monocolore DC presieduto da Giulio Andreotti, andarono quasi in parallelo. Andreotti ottenne il voto anche dei comunisti. Ebbe così la fiducia della quasi totalità del Parlamento.
Praticamente un Parlamento senza opposizione, un parlamento del 100%.
Riassumendo. 
Nel 1936 quell’ “appello ai fratelli in camicia nera”, fu un vero e proprio disastro politico, perché aveva dato una dignità un riconoscimento al fascismo e nel contempo svuotato di ogni significato il sacrificio fatto fino ad allora dagli antifascisti che avevano in molti, perso la vita od erano imprigionati. Fascismo che di lì a poco avrebbe prodotto le leggi razziali e avrebbe partecipato alla II guerra mondiale con un esito disastroso.
Negli anni ’70 il compromesso storico ebbe pure lui ricadute negatrici e distruttive della politica: andò a sfociare in un monocolore Andreotti e diede la dignità di oppositori agli assassini delle Brigate Rosse.
I partiti si convinsero che potevano fare tutto ed il contrario di tutto: non c’era più ideologia, non c’era più idea di fondo, progetti per il futuro – vero o falso che fosse - ma solo ed unicamente ginnastica del potere per il proprio interesse.
Gli anni del compromesso storico lungi dall’avere riempito di nuove possibilità la democrazia fondata sulla nostra Costituzione, hanno preparato il terreno “del tutti sono uguali”, “non c’è più né destra, né sinistra”, “la meritocrazia è l’unico metro con il quale si misura la persona (chi misura chi?)”, “il PIL è l’unico metro con il quale si misura un Paese (chi misura chi?)”, “è la legge di mercato”, ed altre amenità come queste.
Siamo giunti così ai nostri giorni al grido di “Viva la democrazia, abbasso le elezioni”.
Abbiamo avuto nell’ultimo anno un Governo che ha fatto decreti “Salva Italia” e chiesto ed ottenuto fiducie dalla quasi totalità del Parlamento.
Un governo però il cui Presidente ed i cui Ministri si sono autoproclamati tecnici e non sono stati eletti da nessuno. Governo cooptato dal Presidente della Repubblica Napolitano nella persona del Presidente del Consiglio che a sua volta ha cooptato i propri Ministri.
Di “larghe intese” in “larghe intese” le intese sono diventate talmente larghe che comprendono oramai tutto: si può essere capo del governo ed ottenere la fiducia del Parlamento indifferentemente anche se non eletti (Governo Monti). Si può diventare capo del governo in nome del puro liberalismo privato principalmente perché in possesso  della concessione delle frequenze TV pubbliche, di tutti noi (Governi Berlusconi).
Domani si potrà diventare capo del governo non essendo né capo del governo, né eletto in Parlamento, ma semplicemente perché titolare unico ed assoluto di un sito WEB (vedi non-governo Grillo).
Le leadership plebiscitarie, di Berlusconi, Monti e Grillo (che da buon ultimo vuole il 100% dei consensi e si vanta che nel M5S estremisti di destra e di sinistra si abbracciano) sono i frutti delle larghe intese.
Certo Presidente «Ci volle coraggio in quella scelta inedita di larga intesa».
Ci volle un bel coraggio.


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