mercoledì 24 dicembre 2008

Meschino opportunismo politico: le leggi razziali anti ebraiche del 1938

Saltando ogni considerazione di carattere storico, c'è solo da osservare che i numerosissimi che sono intervenuti nel 2008 “sorpresi ed amareggiati” del “meschino opportunismo politico” di Fini, fossero intervenuti in eguale quantità nel 1938“sorpresi ed amareggiati” del “meschino opportunismo politico” di Mussolini manifestatosi con la promulgazione delle leggi razziali, probabilmente non ci sarebbero state nè le leggi razziali allora, né Fini oggi.

Il Quarto Re Magio

La Presidente della Confindustria si preoccupa di “panico sociale”, di “equità sociale”, di “Welfare”, delle nostre pensioni invocandone una riforma.
Invece della Presidente della Confindustria pare un politico, un predicatore, un sindacalista fuori tempo o il quarto Re Magio.
Ma poiché non è né l’uno né gli altri, sta solamente facendo bene il proprio lavoro che è quello di migliorare la situazione della propria vita e di quella dei suoi elettori industriali a Presidente della Confindustria.
La Presidente della Confindustria infatti appartiene a quel 10% di famiglie che è passato a detenere in dieci anni dal 41% al 48% della ricchezza nazionale (case, titoli e moneta), a discapito del 40% di famiglie che è passato a detenere dal 34% al 29% di ricchezza nazionale e del 50% delle famiglie più povere che è passato dal 25% al 23% di ricchezza nazionale.
Quindi la Presidente della Confindustria quando dedica la sua attenzione a quel 90% di cittadini che possiedono il 52% della ricchezza è preoccupata non tanto come vive questo 90%, ma di come deve continuare a vivere quel 10% a cui appartiene che detiene il 48% della ricchezza nazionale prodotta dal 100% dei lavoratori italiani.
Si preoccupa cioè, nel migliore dei casi, di ridistribuire al 90% degli italiani quel 52% di ricchezza, lasciando intatto, ma solo nella possibilità di diminuire non di aumentare, il restante 48% posseduto dal 10% al quale appartiene.
E’ preoccupata che l’eventuale “panico sociale” non sia contro al suo 10%; che la riforma delle pensioni – che sono già state riformate in peggio già parecchie volte in questi ultimi 10 anni – serva a liberare maggiori risorse per aumentare quel 48% di quota di ricchezza. Di continuare cioè come gli ultimi 10 anni: togliere ai poveri per dare ai ricchi.
Sul piano politico non per nulla trionfa il Partito delle Libertà con a capo l’uomo più ricco d’Italia che dichiara con candore:
“Il mio ottimismo nasce dalla realtà delle cose”. (in sito http://www.forzaitalia.it/ il 24.12.2008).
Anche lui Quarto Re Magio.
Buon solstizio d’inverno a tutti.

martedì 2 dicembre 2008

La Santa Sede non è sola nella grotta della storia

La Francia a nome dei 27 Paesi dell’Unione Europea ha presentato all’ONU la proposta per la depenalizzazione dell’omosessualità.
Contro la depenalizzazione dell’omosessualità si è pronunciato l’osservatore permanente della Santa Sede presso le nazioni Unite.
Depenalizzare l’omosessualità significa in oltre 80 Paesi del mondo salvare dalla morte o da molti anni di carcere uomini e donne condannati per il solo fatto di essere omosessuali.
L’esito della proposta ha soddisfatto la Santa Sede. Infatti il direttore della Sala Stampa Vaticana ha osservato che: “Meno di 50 stati membri della Nazioni Unite hanno aderito alla proposta in questione, mentre più di 150 non vi hanno aderito. La Santa Sede non è sola”.
La Santa Sede non è sola. Si tratta di vedere con chi è in compagnia. Nella grotta della storia in questi giorni il Sommo Pontefice della Città del Vaticano si è trovato con i Sultani dell’Arabia Saudita, quelli dello Yemen, con il Presidente dell’Iran, Somalia, Sudan, Sierra Leone, che sono al governo di Paesi dove l’omosessualità è considerata un reato punibile con la pena di morte. In quella grotta c’erano pure quelli della Tanzania, Gambia, Senegal, Qatar, Maldive. C’era pure il Sultano del Brunei nel cui Paese chi è omosessuale rischia 10 anni di carcere.
La Santa Sede che vanta e si vanta di queste frequentazioni è dunque una enclave di un mondo che in Europa c’era qualche millennio fa. Basta vedere come si chiamano: Curia Romana, Sommo Pontefice, Santa Sede. Baciano il Santo Piede, esibiscono e trasportano teschi, ossa, sangue. Diseppelliscono cadaveri e li espongono alla pubblica venerazione.
Nella grotta della storia ci sono lettori di corani e bibbie che si scaldano bruciando pacchi intonsi di Dichiarazioni Universali dei Diritti Umani, mentre all’esterno i megafoni gridano che: “Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale”.
L’Unione Europea da una parte la Città del Vaticano dall’altra.
La Santa Sede dovrà farsene una ragione: le sue radici non sono più in Europa.

venerdì 17 ottobre 2008

Stato confusionale e riti wodoo

Il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'Economia e Finanze in questi giorni stanno garantendo un po' a tutti che lo Stato veglia su di noi.
Lo Stato sta assumendo i contorni di un messia, di un salvatore.
Lo stato dello Stato tutti lo sappiamo è il seguente: ha un debito pubblico che grava su ogni singolo cittadino, compresi neonati e ultracenteneri per circa 25.000euro a testa. Significa che ogni cittadino italiano in media ha prestato allo Stato, è creditore dello Stato per quella cifra.
Nonostante ciò il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'Economia e Finanze, ci hanno assicurato che lo Stato garantisce i nostri depositi bancari fino alla somma di euro 103.000.-
Sarebbe come dire che il nostro debitore garantisce i nostri crediti verso le banche.
Non solo ma il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'Economia e Finanze ci hanno assicurato che garantiranno, per esempio, le obbligazioni emesse dalle banche, per un importo di: "quanto sarà necessario".
E' evidente che allo stato delle cose, queste garazie sono come altrettanti riti wodoo, con preghiere che salgono al cielo chiedendo che ci salvi con "quanto sarà necessario".

giovedì 16 ottobre 2008

Meno Stato più mercato: l’economia delle cocottes

L'attuale Capo del Governo ed il suo Ministro delle Finanze avevano uno slogan sopra tutti gli altri ed era: “Meno Stato e più mercato”.
Oggi il Capo del Governo ha detto che l’aiuto di Stato alle imprese è un imperativo categorico.
L’economia quando va bene si privatizza e quando privatizzata ha perseguito il profitto della preda, può essere riconsegnata al pubblico, allo Stato, a noi tutti.
E’ un vero e proprio comunismo capitalista: i profitti si privatizzano e le perdite si mettono in comune.
L’economia degli Stati Uniti, il faro a cui il nostro Capo del Governo guarda, ha statalizzato più banche di quello che aveva fatto l’Italia nei decenni del centrosinistra e del compromesso storico.
In fondo al tunnel di questo capitalismo, ci sono i portafogli dei cittadini che si aprono per versare il loro obolo in favore di banche, industrie automobilistiche, assicurazioni. Tutti enti che invece di creare ricchezza hanno creato povertà, ma non la loro povertà, ma la nostra, quella di tutti noi. Così i nostri denari versati allo Stato attraverso le varie tasse, invece di andare a mantenere e possibilmente migliorare scuole, ospedali, strade, ricerca, etc. vanno nelle tasche di quei banchieri, assicuratori, industriali che "sono falliti".
E’ una situazione che Max Weber nella sua opera “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” ha così decritto:
“L’avidità di lucro, la ricerca del guadagno, del denaro, di un gudagno pecuniario quanto più alto possibile, in sé e per sé non ha nulla a che fare con il capitalismo…Questa tendenza si è trovata e si trova nei camerieri, medici, cocchieri, artisti, cocottes, funzionari corruttibili, soldati, banditi, crociati, in coloro che frequentano le bische”. (ediz. Rizzoli, Milano, 1994, pag. 37)

martedì 14 ottobre 2008

Riforma Gelmini.Rien ne va plus: La scuola italiana per la Chiesa è morta

Abbiamo visto in un precedente blog che la nascita della scuola pubblica dell'obbligo in Italia era stata salutata da Pio IX nel 1870, in una lettera al re, con queste parole: "Vi unisco poi la presente per pregarla fare tutto quello che può affine di allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata per quanto si dice relativa all’istruzione obbligatoria.
Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le Scuole Cattoliche, e sopra tutto i Seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla Religione di Gesù Cristo!"(Lettera di PIO IX a Vittorio Emanuele II contro l’istruzione obbligatoria, in Cento anni d’Italia 1870-1970, Atlante Storico, Quarta dispensa, Pio IX, di F. Serantini.).
In assoluta continuità didattica con Pio IX, che travalica i secoli, l'attuale Cardinale di Bologna Mons. Caffarra, ad un Corso di aggiornamento per Insegnanti di Religione dal titolo "Libertà nella modernità: una promessa mancata" concludeva con questa constatazione: "Nella crisi della scuola si rivela oggi più che mai questa situazione. Una scuola che, in quanto sistema formativo, non trasmette più alcuna interpretazione sensata della realtà, è già morta. E può trasmettere solo morte. La soluzione non è di caricarla di altri compiti (l’educazione sessuale, alla salute, civica e altro ancora), come se potessero essere svolti dalla scuola.
La vostra presenza è ormai l’unica offerta di una interpretazione sensata e ragionevole della realtà."(Corso di aggiornamento Insegnanti di Religione
Scuole Medie e Superiori, 2 ottobre 1997-testo come in sito internet www.caffarra.it, oggi 14.10.2008, ore 11,00).
Per Mons. Caffarra l'unica presenza atta ad interpretare in modo sensato e ragionevole il mondo è quella dell'insegnante di religione: dell'insegnante che lui stesso ha nominato e mandato.
Il messaggio è chiaro. Il prossimo passaggio, la prossima foglia del carciofo da sfogliare, sarà forse la potestà da parte dei vescovi di nominare, oltre all'insegnante di religione, anche dell'insegnante unico?
Meglio poi se le due figure si unificheranno nel mitico Maestro Unico tanto più ricercato perchè è la continuità naturale dentro la scuola, della mamma?
Il lavoro del Ministro Gelmini è appena iniziato!

venerdì 10 ottobre 2008

1 – Riforma Gelmini: la scuola elementare

Nella prima parte della riforma che riguarda le elementari, che entrerà a pieno regime dall’anno scolastico 2009-2010 i punti qualificanti annunciati dal Ministro Gelmini sono:
- grembiule per i bambini;
- voto in condotta;
- abolizione dell’insegnante di matematica;
- abolizione dell’insegnante di italiano;
- abolizione dell’insegnate di inglese;
- mantenimento dell’insegnante di religione;
- introduzione di un insegnante unico per tutte le materie esclusa religione cattolica.
Ad una scuola elementare che era riuscita, nonostante le ripetute e continue riforme ad avere fin dai sei anni un insegnate di materie letterarie, uno di materie scientifiche, ed uno di inglese, viene tolto tutto questo.
In una società quale è la nostra in cui il bene primario dovrebbe essere il miglioramento delle possibilità di conoscenza dei bambini e dei giovani si smantella tutto ciò che andava in quella direzione.
Si utilizzano slogan “rivoluzionari” come il “Non si deve difendere l’esistente”, o “Il 97 per cento delle risorse per la scuola è impiegato per gli stipendi degli insegnanti” etc.
L’Italia è stata spesso piena di rivoluzionari che governavano: l’ultimo più famoso è stato Mussolini che ha rivoluzionato così tanto l’Italia da azzerarla con una guerra mondiale.
“Non si deve difendere l’esistente”: con questo accattivante slogan il Ministro Gelmini vuole cambiare l’esistente, questo è indubbio, ma non per andare avanti, ma per tornare indietro.
Quando il Ministro parla di grembiuli è per tornare indietro a quando le nostre nonne e nonni allora bambini andavano a scuola con il grembiule ed il fiocco blu o rosa.
Quando il Ministro parla di voto in condotta è per tornare indietro, quando i bambini erano più ubbidienti, così si dice, proprio perché avevano lo spauracchio del voto in condotta.
Evocare il buon tempo antico significa manipolare la nostalgia del tempo passato, che è comunque “sempre migliore del presente”.
Sollecitare la bontà del buon tempo andato è fare – se ne sia coscienti o no - una vera a propria operazione magica e, contro la magia, non si può nulla.
La storia di quei grembiuli e di quei voti in condotta ci racconta però che l’età felice dell’oro non è mai esistita.
Quando i bambini andavano a scuola con il grembiulino, attorno a quel grembiulino c’era una società contadina dura, gerarchica, nella quale il bambino era una risorsa, una proprietà dei genitori da utilizzare nei lavori agricoli, fin dalla tenera età.
Quando c’era il voto in condotta e la condotta non corrispondeva alle direttive del “conducente”, il bambino veniva tolto dalla classe e messo in un’altra classe che si chiamava “differenziale”, si diventava un alunno di serie B.
E questo lo decideva la buona, serafica, materna Maestra Unica: la continuazione della mamma nella scuola.
Questo era il mondo del Maestro Unico per la stragrande maggioranza dei bambini di quel tempo, il mondo dei grembiulini e del voto in condotta.

2 – Riforma Gelmini: “Il 97 per cento delle risorse per la scuola è impiegato per gli stipendi degli insegnanti”

“Il 97 per cento delle risorse per la scuola è impiegato per gli stipendi degli insegnanti” così ci dice il Ministro Gelmini.
Certo il Ministro Gelmini è diventata ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, con la missione di ridurre ulteriormente le risorse a disposizione del ministero che presiede.
Così dato che le risorse per la Ricerca non si possono ridurre più di tanto pena la loro totale sparizione, quelle per l’Università altrettanto, è restato solo nell’Istruzione – non più pubblica - un ultimo significativo margine di riduzione.
Anche i governi precedenti avevano ridotto le risorse dell’Istruzione in nome di una non meglio identificata “autonomia scolastica”. Autonomia scolastica il cui unico prodotto significativo è stato l’intensificarsi di pesche e feste benefiche per raccogliere dai genitori degli alunni, fondi per la scuola per materiale di cancelleria (p.e. possibilità di fare fotocopie) o didattico (p. e. cartoncini per lavori collettivi, materiale per psicomotricità etc).
Certo così di taglio in taglio non è rimasto che da tagliare alla voce “stipendi degli insegnanti”.
Come si fa ha tagliare però la voce “stipendi agli insegnati” dicendo in contemporanea che sono bassi, tra i più bassi d’Europa?
Ma è semplice non riducendo i loro stipendi, ma gli insegnati tout court.
Quindi l’affermazione che il 97% delle risorse della scuola è impiegata per pagare gli insegnanti, non è altro che la fotografia delle scelte dei vari governi che hanno ridotto la spesa dell’istruzione in ogni dove, tranne che nel numero degli insegnanti.

3 – Riforma Gelmini: Gli insegnanti sono troppi e lavorano poco quindi il Maestro Unico.

Gli insegnanti sono troppi, ci spiega il Ministro, perché gli insegnanti di italiano, matematica ed inglese sono stati introdotti non per una esigenza pedagogica ma perché a seguito della caduta della natalità si è avuto un esubero di maestri elementari e quindi si sono utilizzati per un insegnamento meno generico delle materie anche alle elementari.
Ci si spiega che tutto questo è stato negativo per la qualità dell’insegnamento, scegliere cioè di ulteriormente qualificarlo attraverso insegnanti specifiche, per specifiche materie, insegnati di sostegno a bambini in difficoltà fisiche o psichiche, non essendoci più fortunatamente le classi differenziali.
Una volta che una contingenza storica – diminuzione degli alunni - era stata utilizzata per migliorare la qualità della scuola, viene oggi demonizzata e poi smantellata.
Viene smantellata proprio nel momento di crescita degli alunni, sia per una maggiore natalità italiana che per la natalità dovuta alla venuta in Italia di molti stranieri.
Viene smantellata proprio nel momento nel quale nelle elementari vi è la presenza sempre maggiore di bambini con forti difficoltà di apprendere l’italiano in quanto cinesi, marocchini, pakistani, romeni, bulgari, bambini rom etc.. Nel momento in cui è maggiore la necessità di maestri specifici, vista la pluralità di composizioni delle classi.
Il grembiule e la condotta servono a fare parlare del bel tempo passato, del nulla, quando invece la realtà ha bisogno di insegnanti plurimi perché plurime sono le esigenze di classi che sono formate da tutto ciò di cui è formata, fuori dalla scuola, la società.
Ma tant’è bisogna risparmiare sulla scuola e così il Ministro Gelmini, indipendentemente dalla realtà sociale, procede.
Ma anche qui c’è l’eccezione: l’insegnante della religione cattolica. Si può risparmiare sull’insegnante di inglese, abolendola; di italiano, abolendola; di matematica, abolendola; ed unificare queste tre in una unica, ma non sull’insegnante della religione cattolica.
Ma come si fa a fare passare tutto questo, che è una mostruosità tanto più grande tanto più la si esamina?

4 – Riforma Gelmini: dividere gli insegnati dal resto dei cittadini

Fare una cattiva pubblicità agli insegnanti, descrivendoli come privilegiati e nullafacenti.
Vi ricordate due anni fa? Allora erano i taxisti quelli che rovinavano la nazione. Ed allora articoli sui taxisti, inchieste. Ministri che dedicavano il loro tempo a riordinare questa categoria sulla quale gravava la “salvezza della nazione”.
Ora sono gli insegnanti ed il loro lavoro a venire colpiti con argomentazioni del tipo: “I maestri hanno una media di soli 11 alunni per classe”.
Esaminiamo questa affermazione dei fautori del Maestro Unico.
Si può osservare che se ci fossero le classi di 11 alunni si dovrebbe esserne felici. Proviamo ad immaginare la qualità dell’insegnamento con classi di 11 alunni: straordinaria.
Ma non è così. Le classi elementari sono di circa 25 alunni nelle grandi città, con una media nazionale, per difetto, di circa 19 alunni per classe. Le varie insegnanti di inglese, italiano e matematica, insegnano di volta in volta a classi con quel numero di alunni.
Con la riforma del Ministro dell’Istruzione – non più pubblica – le classi potranno essere formate, con un numero di alunni fino a 30. Questo perché la riforma prevede anche accorpamenti di scuole, abolizione di sedi scolastiche, tutto per risparmiare con la scuola.
Questa è la realtà. Ma anche qui come sempre c’è una unica eccezione: l’insegnante della religione cattolica che - essendo la società italiana non più composta dall’unica religione cattolica, come ai tempi del Maestro Unico - ha un numero di alunni che può essere irrisorio.
In teoria anche se vi fosse un solo bambino in una classe, quell’unico bambino al quale è stato detto che è cattolico, avrebbe l’insegnante di religione.

5 – Riforma Gelmini: dividere i maestri in “buoni e cattivi”

Dopo avere diviso gli insegnanti dal resto dei cittadini, si prosegue dividendo gli insegnanti in buoni e cattivi.
Certo ci possono essere insegnati più o meno bravi e motivati, ma è certo che tutti per diventare insegnanti hanno dovuto seguire un iter ben preciso.
Per poter insegnare alle elementari – oggi scuola primaria - bisogna essere laureati. Fare concorsi, fare anni di supplenze, corsi di aggiornamento per acquisire punteggio. Nelle graduatorie dalle quali si attingono gli insegnanti occorrenti accedono solo quelli che hanno tutti i titoli legali per poter svolgere quella professione.
Non si passa davanti ad una scuola e vi si entra e ci si mette ad insegnare.
Ma anche qui c’è una eccezione: il solito insegnante della religione cattolica che può accedere alla scuola perché indicato idoneo da un privato cittadino italiano che nella gerarchia della propria religione è chiamato vescovo.
Quando poi si diventava docenti in una scuola organizzata come quella di prima della Riforma Gelmini, gli insegnanti delle varie materie si confrontavano gli uni con gli altri, si davano consigli, dovevano rendere conto del loro operato ai loro colleghi.
Ma anche qui c’era una eccezione: il solito insegnante della religione cattolica che non doveva né deve rendere conto a nessuno della sua didattica né dei contenuti del suo insegnamento tranne che a quel privato cittadino che è il vescovo che l’ha nominato insegnante di religione.
Ci saranno quindi certo maestri meno bravi di altri, ma questo è fino ad un certo punto fisiologico: tutto ciò che è umano non è assoluto si tratta solo di fare diminuire la percentuale di maestri “cattivi”.
Ma anche qui c’è l’eccezione: il maestro della religione cattolica, ha a che fare con il divino, e quindi per definizione è certamente “buono”.

6 – Riforma Gelmini: il Ministro passa dal Maestro Unico al Maestro prevalente

I Vescovi italiani che sanno bene che insistere dogmaticamente sul Maestro Unico può mettere in discussione la stessa esistenza dell’insegnante di religione, si sono pronunciati contro. Sia pure con una azione di basso profilo, tipico atteggiamento di chi non sa chi vincerà la partita, ma che lui la vincerà comunque, i vescovi italiani con una nota della loro agenzia di stampa Sir, il 3 settembre 2008 “criticano il ritorno al maestro unico nella primaria dopo che la scuola italiana negli ultimi anni, con buoni risultati, aveva puntato sull’equipe di maestri. Inoltre il Sir sottolinea come il provvedimento sia stato preso senza che fosse aperto nessun tipo di dibattito in merito”.
E’ praticamente la posizione della CGIL scuola, il sindacato più impegnato contro la riforma Gelmini.
No non è una rivoluzione, è una posizione non a favore dell’esistente, ma per esistere. I Vescovi italiani sanno perfettamente che se passa la riforma Gelmini, comunque l’insegnante di religione non verrebbe tolto.
Se invece le cose rimanessero così come ora, ugualmente l’insegnante di religione non verrebbe tolto. Ripetendo praticamente le tesi delle CGIL, i vescovi italiani potranno dire, finite le contese sulla riforma della scuola, noi appoggiavamo l’equipe di maestri.
E così i vescovi, manifestando sia pure sommessamente l’appoggio alla scuola con il maestro plurimo - potrebbero fare altrimenti loro che nominano privatamente un insegnante della scuola pubblica? – lasciano che i loro fedeli cattolici, attraverso associazioni di genitori cattolici, mastri cattolici, etc.. appoggino la riforma del Ministro Gelmini, per il Maestro Unico.
Il Ministro Gelmini coglie il messaggio ed inizia a parlare non più di Maestro Unico ma di Maestro prevalente, lasciando così intendere che ci sarà anche sempre e comunque il maestro di religione cattolica.
I vescovi si sono tranquillizzati completamente e non hanno più manifestato alcunché.

7 – Riforma Gelmini: il peccato originale della scuola pubblica italiana

La scuola pubblica italiana, quella organizzata dallo Stato, quella dell’obbligo, quella che ha per missione il porre insieme tutti i suoi piccoli cittadini per metterli in una condizione paritaria di partenza, come dice la nostra Costituzione, ha un peccato originale che la rende comunque fastidiosa alla Chiesa. Ed il peccato originale è quello di esistere, quindi irreversibile.
La scuola pubblica italiana per la Chiesa non dovrebbe proprio esistere.
Nel 1870 il giovane Regno d’Italia che non aveva per capitale Roma, ancora per pochi mesi sotto il dominio di Pio IX, progettava di istituire l’istruzione obbligatoria per i bambini del Regno d’Italia. Pio IX letteralmente sconvolto da quella possibilità – la chiamava flagello - scriveva all’inizio del 1870, al re Vittorio Emanuele II:
“Maestà, non ho dato corso alla prima lettera […]. Vi unisco poi la presente per pregarla fare tutto quello che può affine di allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata per quanto si dice relativa all’istruzione obbligatoria.
Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le Scuole Cattoliche, e sopra tutto i Seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla Religione di Gesù Cristo!
Spero dunque che la V.M. farà sì che in questa parte almeno, la Chiesa sia risparmiata. Faccia quello che può, maestà, e vedrà che Iddio avrà pietà di Lei. La abbraccio nel Signor Pio IX.” (Lettera di PIO IX a Vittorio Emanuele II contro l’istruzione obbligatoria, in Cento anni d’Italia 1870-1970, Atlante Storico, Quarta dispensa, Pio IX, di F. Serantini.).

No comment.

lunedì 11 agosto 2008

Apostasia 2008

Cuba è un'isola dalla quale chi vuole uscire deve chiedere il permesso.
Se si esce senza permesso si è considerati traditori di Cuba e della sua rivoluzione.
C'è una cittadina italiana Taismary Aguero nata a Santo Spirito (Cuba) il 5 marzo 1977. E' fuggita da Cuba nel 2001 durante un ritiro della nazionale cubava di volley in Svizzera. Quindi ha lasciato Cuba senza permesso: è diventata una reietta per le autorità cubane.Da quel momento alla Aguero è stato proibito ogni contatto con la propria famiglia. Quando morì suo padre le fu negato il visto perfino per andare ai funerali.
Ora da due anni Aguero è una cittadina italiana che si trova a Pechino nella nazionale italiana di volley per le Olimpiadi.
Nei giorni scorsi ha ricevuto la notizia che sua madre stava morendo. Ha richiesto il visto di ingresso a Cuba, ma le è stato negato. La madre è morta e così anche questa volta non ha potuto, come per il padre, riabbracciare per l'ultima volta la madre viva.
Invano fino ad ora, ma ancora attendiamo una parola visibile del grande gionalista e scrittore Gianni Minà di solidarietà verso la propria concittadina Aguero, lui che può entrare ed uscire da Cuba con la stessa facilità di Fidel Castro.

A Roma: punire chi rovista nei cassonetti della spazzatura

Il Sindaco di Roma ha annunciato che verrà punito chi rovista nei cassonetti.
Quello che può essere una risorsa per chi è tanto bisognoso da cercare qualche cosa per lui utile nei cassonetti della spazzatura a Roma si appresta a diventare reato.
Ricordo anni fa che il mio sguardo si posò casualmente su una persona proprio nel momento in cui aperto un cassonetto, ne aveva estratto un pezzo di pizza e lo stava addentando.
Ricordo la sensazione che provai. Una sensazione di degrado, ma non di quello che stava mangiando quella pizza-spazzatura, ma di degrado mio che una pizza così non l'avevo mai mangiata e mai mi auguravo di mangiarla.
Quella persona che si mangiava la pizza senza dare fastidio a chichessia, mi ricordava quella sua realtà, mi ricordava la complessità del mondo, e della vita degli uomini.
Ora il Sindaco di chichessia vuole punire i mangiatori di pizza-spazzatura, vuole che il mondo sia più facile da capire, vuole il mondo diviso in bianco e nero, in buoni e cattivi, in bene e male, come fa qualunque primate che mangia la buccia e butta la banana.

lunedì 14 luglio 2008

1 - Intendere e volere

C’è una norma contro la quale ancora oggi in Italia ci si oppone utilizzando la vita e la morte delle persone. Utilizzando i momenti più drammatici della vita e della morte delle persone. La norma è quella che riguarda ogni singola persona alla quale si riconosce la facoltà di intendere e di volere.
Questa facoltà si ha convenzionalmente in Italia a 18 anni.
Questa norma dell’intendere e del volere è contrastata da chi ha un progetto su di te. Da chi ha come missione della propria esistenza il fare proseliti, il guadagnare al proprio arbitrio la capacità dell’altro dell’intendere e del volere, dopo di che l’intendere ed il volere non è più del singolo soggetto ma passa alla persona od all’Ente che si è rivestito dell’intendere e del volere di chi ha guadagnato alla propria credenza.
Ma non basta. Quella persona o quell’Ente poiché si è appropriato dell’intendere e del volere di molti ad un certo punto pretende di voler imporre il proprio intedere e volere anche a chi non lo segue e non vuole seguire.
Quando è possibile dalle condizioni storiche date, quella persona o quell’Ente usa anche la violenza per piegare al proprio intendere e volere gli esterni a sé.
Oggi in Italia non è praticabile la violenza tout court. Si utilizzano i mezzi di comunicazione per andare contro a persone che in situazioni per loro dolorosissime vogliono applicare il proprio personale intendere e volere.

2 – Contro l’intendere e volere: un esempio

Oggi 14 luglio 2008 si può leggere sul quotidiano Il Foglio questo appello:
“Nessuno muoia di sete per necrofila secolarista
Acqua per Eluana Englaro
Da oggi sul sagrato del Duomo di Milano è decente ed è umano che vengano deposte bottiglie d’acqua. Non c’è da discutere, c’è solo da protestare la compassione”.
Con queste parole si tratta della vita e della morte di Eluana Englaro, la ragazza che sedici anni fa a seguito di un incidente è entrata in coma e lo è tutt’ora.
Il padre dopo sedici anni durante i quali si è battuto affinché la figlia non fosse più tenuta in vita in quelle condizioni è riuscito a farsi riconoscere dal Tribunale di Milano, il diritto del suo intendere e volere, che rispecchia quello che lui crede sia anche l’intendere e il volere di sua figlia che in questo momento non è in grado di intendere e di volere.
In questa privatissima e dolorosissima decisione, in questo spazio inviolabile da chiunque non sia il signor Englaro si sono inserite persone ed Enti di cui sopra.
Spazio che è stato violato, da persone nella fattispecie il direttore del quotidiano Il Foglio che ha dato di fatto del “necrofilo secolarista” al padre della povera Eluana.
Spazio che è stato violato da uno Stato come la Città del Vaticano che nella persona di monsignor Rino Fisichella presidente della Pontificia Accademia per la Vita ha reagito: “con “profondo stupore” e con “tristezza” alla notizia e si chiede “come sia possibile che il giudice si sostituisca in una decisione come questa alla persona coinvolta” ”. Ma poi aggiunge che se anche la persona coinvolta avesse preso una decisione analoga a quella del giudice: “Le intenzioni – conclude – si modificano nel corso del tempo e della vita, e c’è sempre la possibilità di un ripensamento” (Corriere della Sera 10.7.2008 pag. 2,3).
La conclusione è molto semplice: il giudice non può decidere per l’interessata, ma monsignor Fisichella sì.
Si invoca poi la possibilità di ripensamento. L’invocazione al ripensamento viene da un monsignore che battezza neonati di qualche giorno o mese, nella stessa condizione di coscienza della povera Eluana Englaro. Neonati il cui battesimo è deciso appunto da altri che non sono loro.
Monsignore che è poi un sacerdote “per sempre”, anche nel caso di ripensamenti, così come è vescovo “per sempre”.
La missione di monsignor Fisichella desta ammirazione per la mole di lavoro che deve svolgere quale vescovo cattolico che ha il mondo quale campo d’azione, per controllare giornalmente le migliaia e migliaia di sentenze che i molti tribunali dei molti stati del mondo emettono.
Estrarre da questa lettura, quelle che possono interessare la Pontificia Accademia per la Vita.
Controllare inoltre anche tutte le leggi che possono come le sentenze sostituirsi “alla persona coinvolta”.
Complimenti a monsignor Fisichella: un lavoro miracoloso.
Viene però il dubbio non avendo mai letto “stupore e preoccupazione” di monsignor Fisichella per leggi o sentenze a lui non gradite emesse per esempio in Nuova Zelanda, in Papuasia, in Groenlandia ma anche in Albania od in Grecia, che la sua attenzione si rivolga quasi esclusiavmente verso l’Italia.

venerdì 27 giugno 2008

(1) Censimento rom 1938

Eccoci di nuovo.
Ciclicamente ma sempre più di frequente si parla di rom, ancora. Questa volta per farne un censimento.
Gli oppositori a questo provvedimento richiamano la Germania di Hitler. Si vanno a cercare esempi di male al di fuori della propria tribù anche quando si hanno atteggiamenti per così dire non tribali.
E’ nella nostra storia che invece bisogna andare a cercare.
Siamo nel 1938. In quell’anno i giornali ricordavano che gli ebrei erano in rapporto di 1 a 1000 rispetto agli abitanti dell’Italia, per un totale di 44.000 ca. (Bottai nel suo Diario scriveva che ne risulteranno circa 70.000, ma la sostanza non cambia).
In quell’Italia nella quale si dividevano gli italiani a seconda della religione, come si sta ritornando a fare ora, risultava che c’erano:
43.868.000 cattolici
88.000 protestanti
44.000 ebrei
Era nientemeno questo piccolo 1 per 1000 “il” problema, per l’impero fascista, che andava risolto al più presto.
Sappiamo tutti come è andata a finire.

(2) Censimento rom 2008

Nel settantesimo anniversario del censimento degli italiani di religione ebraica, si vuole procedere al censimento degli italiani che si identificano con il nome di rom.
La storia può risultare irresistibile e potente come la biologia. Ci può programmare l’ideologia, la religione, così come ci programma la biologia.
Ineffabili, dentro le loro camicie bianche e le cravatte Regimental i nipoti di quel censimento del 1938 che ci siamo coltivati in questa nostra Repubblica, ci indicano ora come pericolo per l’Italia, nientemeno che i bambini rom.
Chi è cresciuto leggendo Julios Evola, Mussolini, Preziosi e, nelle feste comandate, Hitler, chi si è nutrito per decenni di tutto ciò, giunto sui 50/60 anni può forse cambiare?
Sì, può mettersi in testa il copricapo ebreo. Certo, può dichiarare “male assoluto” ciò a cui credeva fino a qualche anno fa. Ma tutto questo sarà solo un non fare corrispondere il copricapo con cosa c’è nel capo.
Risulta così che coprirsi la testa con il copricapo ebreo, consente in un primo tempo di diventare per esempio sindaco di Roma o ministro della Repubblica, e in seguito di proporre il censimento dei rom.
Il cerchio si chiude.
Un censimento è tale se si “conta” la totalità della popolazione. Gli italiani nomadi si debbono censire quando si censiscono gli italiani stanziali. In caso contrario non è un censimento ma una indagine su una parte, una schedatura, un deposito di notizie che si può utilizzare alla bisogna, contro quella parte.

(3) Censimento: un po’ di storia

In un periodo in cui tutti cercano le proprie e le altrui radici - un'orgia del pollice verde - non è inutile cercare le radici del censimento.
Una delle radici più remote è insospettabilmente Satana quando poteva essere ancora intercambiabile con Dio.
Nell’Antico Testamento nel libro delle Cronache 21,1 si legge che “Satan si levò contro Israele e indusse David a fare il censimento d’Israele”.
Se nell’episodio citato nel brano I Cronache 21,1 l’iniziativa del censimento è attribuita a Satana, nel medesimo episodio raccontato in II Samuele 24,1 è attribuita a Dio:
L’ira del Signore si accese di nuovo contro Israele ed eccitò Davide contro di loro, suggerendogli: “Va’ e fa’ il censimento d’Israele e di Giuda”.
La punizione sia nel caso dell’intervento di Satana che in quello di Dio è pressoché identica e terribile: “Signore fece scoppiare la peste in Israele e perirono 70.000 Israeliti.” (I Cronache 21,9-15).
Terribile castigo perchè il censimento provenendo dall’ambizione di Davide ed essendo un atto di sovranità che Dio aveva fino allora esercitato direttamente, apparve come un torto contro la teocrazia.
Il censimento quindi non era la semplice conta degli appartenenti ad un dato gruppo umano, ma aveva qualcosa di più profondo, qualcosa che affondava nei miti, qualcosa che aveva a che fare con più antiche divinità: qualcosa che poteva valere un castigo fino a 70.000 morti di peste in tre giorni.
La vicenda di re Davide si svolge intorno all’anno 1000 prima di Cristo. Circa cinquecento anni dopo, a conferma del persistere del carattere sacro del censimento, un altro re, questa volta un re di Roma, Servio Tullio, procedette anch’esso ad un census, cioè ad una opera di classificazione del suo popolo. Censimento secondo i mezzi finanziari che avrebbe determinato sia i diritti politici, sia i doveri militari. Censimento che richiamava a sua volta un antico meccanismo economico-politico che probabilmente implicava altresì un fattore morale.

(4) Emergenza rom 2008: i sommersi e gli emersi

Ora abbiamo più elementi per capire che non si scherza con il censimento. Quando lo si fa, lo si fa per tutti.
Se si fanno censimenti parziali della popolazione – una vera contraddizione in termini – è per includere od escludere qualche gruppo umano, di solito il più debole di quel determinato momento, od il più “antipatico”; per limitarne i diritti politici o civili.
Si sono mobilitati media, politici, impegnati in generale per difenderci dall’ “emergenza rom”. Le nuove vergini della democrazia ci prospettano sempre e continuamente nuove emergenze, così come molti dei convertiti in età adulta, vedono il peccato dappertutto non vedendolo più in sé.
Così noi sotto un diluvio di emergenze, possiamo venire salvati solo da loro, gli emersi nei vari gradi delle istituzioni politiche o religiose.
Se tutto l’impegno, tempo, risorse, intelligenze gli emersi lo avessero messo, ad esempio, per rendere finalmente effettivo l’accesso alla pubblica istruzione dei bambini e bambine e delle ragazze e ragazzi rom – che del resto come per ogni altro bambino italiano è obbligatorio per legge – il problema non sussisterebbe o sarebbe in via di soluzione.
Sarebbe così evidenziata la squalità della proposta di rendere riconoscibili i bambini rom attraverso le loro impronte digitali. A scuola le o gli insegnanti conoscono e riconoscono i loro alunni dal nome, dal sorriso, dal modo di parlare, dai capelli, dalla faccia, dalle loro paure e dalle loro allegrie, da mille altre manifestazioni, ma non certo dalle loro impronte digitali.
Cosa direbbe un emerso dal Parlamento o dal un Consiglio Comunale, se il proprio figlio venisse a casa con tutte e dieci le dita macchiate di inchiostro nero e dicesse che l’insegnante non credendo che si chiamasse Paolo Servelloni Vien dal Mare, lo ha verificato prendendogli le impronte digitali per confrontarle con quelle in possesso della scuola che sono, quelle sì, di Paolo Servelloni Vien dal Mare?

martedì 10 giugno 2008

Clinica Santa Rita

A Milano nella Clinica Santa Rita, secondo quanto hanno denunciato gli inquirenti e riportato dalla stampa, si sarebbero compiute decine e decine di mutilazioni di corpi, operazioni non necessarie, fino ad arrivare alla morte di cinque pazienti. Tutto allo scopo di aumentare le prestazioni per aumentare i guadagni della Clinica Santa Rita.
Il Servizio Sanitario nazionale, la sanità pubblica, quella che noi paghiamo sia direttamente che indirettamente, versa infatti un corrispettivo per ogni prestazione effettuata attraverso una struttura privata, alla struttura privata stessa: nella fattispecie la Clinica Santa Rita.
Se quello che è avvenuto a Milano, alla Clinica Santa Rita, dopo un anno di indagini ed intercettazioni telefoniche verrà accertato, è evidente che siamo di fronte, ad un avvenimento gravissimo, davanti al quale al quale si dovrebbe immediatamente intervenire per chiudere e requisire, come si fa per i reati mafiosi, la Clinica Santa Rita.
Se vi è la “malasanità” nella sanità pubblica, quando quest’ultima ha dei disservizi: errori, ritardi etc., questa come si deve chiamare “sanità criminale privata”.
Qui non è in gioco la stantia diatriba tra pubblico e privato, la verginità dell’uno o dell’altro, ma le persone nei loro corpi, persone e corpi che non si possono mai considerare strumenti di cosciente e perseguito arricchimento, sia esso pubblico o privato.
Attendiamo che i gruppi di fedeli di Santa Rita manifestino il loro disappunto e denuncino l’indebito uso del nome di quella Santa a copertura dei reati ora denunciati, rilevando nel contempo una carenza da parte di Santa Rita che non ha evidentemente protetto quei pazienti.
Attendiamo che l’Ordine dei Medici sospenda immediatamente e pubblicamente in via cautelativa i medici raggiunti da avviso di garanzia.
Attendiamo un pronto intervento del Mago di Oz della Città del Vaticano, in difesa di quei malati e del loro diritto alla vita.
Attendiamo un pronto intervento del Mago di Oz a Capo del Governo che per ora sembra interessato a colpire chi ordina, esegue e divulga le intercettazioni telefoniche proponendo cinque anni di carcere ciascuno.
Attendiamo una sua pronta attivazione anche per l’oggetto delle intercettazioni, cioè in questo caso, i medici che commettevano i reati per proporre una esemplare punizione ai colpevoli, ed ai pazienti un esemplare, anche se sempre non bastevole, risarcimento.
E’ vero il Mago di Oz a Capo del Governo non dovrebbe esternare a questo o a quel convegno, dettare perfino il numero di anni che secondo lui merita questo o quest’altro reato, ma dovrebbe “parlare” attraverso gli atti e le proposte del suo governo.
Ma tant’è se lo ha fatto per le intercettanti, attendiamo lo faccia anche per gli intercettati che commettono reati.
Attendiamo….

sabato 7 giugno 2008

Il Mago di Oz


Ieri il Capo del Governo italiano è andato a fare visita al Capo della Città del Vaticano.
Ieri il Capo del Governo italiano che in Italia ha combattuto in nome del diritto e della libertà – il suo partito si chiama appunto Popolo delle Libertà – ha baciato la mano al Capo di uno Stato Teocratico, con un’unica religione e nel quale tutti i poteri sono nelle mani di una sola persona: in quelle mani che lui ha baciato.
Ieri il Capo della Città del Vaticano, Capo di uno Stato di soli uomini ha parlato con il Capo del Governo italiano della difesa della famiglia tradizionale italiana, quella composta da un maschio ed una femmina, e contro le coppie omosessuali.
Ieri il Capo della Città del Vaticano, Capo di uno Stato di soli uomini fattisi eunuchi per il Signore, ha parlato con il Capo del Governo italiano, dei bambini e dei ragazzi della scuola italiana, specie della scuola organizzata dalla Chiesa Cattolica e del diritto al pluralismo nella e della scuola.
Ieri il Mago di Oz ha fatto visita al Mago di Oz.

lunedì 2 giugno 2008

(1) - La Festa del XX settembre 1870 e del 2 giugno 1946, o della diffcile storia della festa nazionale italiana

Le feste sono la carta di identità di una nazione. Come la carta di identità fermano in un dato momento storico una certa identità, ma come la carta di identità danno l’illusione a chi le celebra, che le feste ci siano sempre state e sempre ci saranno: immutabili.
Non è stato così specie per l’Italia.
Le difficoltà, per l’Italia, ad avere una festa nazionale, un proprio “14 luglio” sentito da tutti, sono tanto storicamente note, quanto poco percepite.
Sono due le date che ci interessano: il XX settembre 1870 giorno della breccia di Porta Pia a Roma, giorno nel quale si compì l’Unità d’Italia; ed il 2 Giungo 1946 nascita della Repubblica Italiana.
Tra queste due date non potremo ignorare quella dell’11 febbraio 1929 in quanto sostituirà quella del 20 settembre 1870.
Il XX settembre 1870 è stato completamente rimosso. Il 2 Giugno 1946 sarà rimosso nel 1977, ma poi ripristinato il 2 Giugno 2001.
Vediamone brevemente le storie.

(2) - La Festa del XX settembre 1870

La comparsa e la sparizione di feste segnano passaggi storici che riassumono in quella comparsa ed in quella sparizione molto di tutto ciò che è avvenuto prima e che verrà poi.
E’ il caso della ricorrenza del XX settembre 1870 che ha proprio nella sua nascita la sua stessa condanna.
Il XX settembre 1870 aveva infatti visto contrapposti da una parte ciò che restava dello Stato Pontificio e dall’altra il Regno d’Italia che entrato nella Roma del papa, aveva trovato la sua capitale definitiva.
Sul primo numero de L’Osservatore Romano era così descritta la situazione italiana:
“L’Italia è ormai divisa in due campi contrari, ognuno de’ quali avendo francamente innalzata la propria bandiera, tutti coloro che parteggiano per uno de’ combattenti, sono di necessità in un’opposizione irriconciliabile rispetto all’altro. Ogni dubbio, ogni illusione tornano impossibili, e conviene saper grado alla Provvidenza d’aver condotte le cose a tal punto, che ogni uomo ragionevole non possa esitare un istante solo sotto quale stendardo egli debba schierarsi.”
E perché non ci fossero dubbi il giornale della Santa Sede riportava le parole di Pio IX:
“Noi ascoltammo iteratamene l’Augusto Capo della Chiesa Cattolica […] Lo abbiamo sentito, nella sua Allocuzione del 18 Marzo passato, ripudiare ogni partecipazione “a quella falsa e indegna civiltà, che calpesta il diritto e la giustizia, che eccita e fomenta la licenza, che cammina al suo fine colla frode e colla violenza, e tenta di distruggere la Chiesa di Cristo”.
E quale consorzio (ha detto il Pontefice) può esistere fra la giustizia e l’iniquità? Quale società fra la luce e le tenebre? Quale accordo fra Cristo e Belial?” (in L’Osservatore Romano, lunedì 1 luglio 1861).
Questo nel 1861, nel 1870 la situazione, se possibile, era ancora peggiorata:
“Gesù, Giuseppe, Maria, oggi voi soli siete la speranza del Cattolico Mondo, e del nostro Gran Gerarca Pio IX”; così iniziava un libretto di preghiera – “Preghiere del Cattolico durante la persecuzione del Gran Pontefice Pio IX, dell’Arciprete Camillo Azzaroni”, Bologna, Tipografia di Carlo Guidetti, 1871 - interessante documento di come era vissuta la fine del potere temporale del papa da parte dei cattolici italiani. Distribuito ai fedeli nel 1871, era la risposta al “gran torto” subito” da Pio IX. Una risposta che univa politica e pastorale, conteneva infatti preghiere per il mattino, la sera, la messa, la confessione e la comunione. Al mattino il fedele pregava così:
“Quando in passato il sole co’ suoi raggi indorava la cima dei monti io, o Gesù o Giuseppe o Maria, dopo un’umile preghiera per la povera mia anima, non altro aveva a dirvi, se non che: conservate e proteggete il Capo della mia Chiesa, il mio predilettissimo Pio Nono.”(pag. 6)
Si proseguiva con una annotazione storica:
“Dal 1859 in avanti Egli [Pio IX n.d.a.] era sempre in mezzo agli affanni e alle persecuzioni, ma era sempre grande e potente, perché poteva liberamente stendere gli atti della sua grandezza e della sua potenza a tutto il Cattolico mondo. Ma dal 20 settembre 1870 a questa parte, tutta la sua grandezza, e tutta la sua potenza, non è più che in Dio.”(pag. 6, 7)
La data del 20 settembre viene ripetuta molte volte in questa preghiera, non tanto evidentemente per ricordarla a Dio, ma perché fosse ricordata dal fedele. Si continuava con Pio IX che:
“Prima del 20 settembre, alzandosi di letto poteva fra le sue pecore, fra i suoi figli, fra i suoi sudditi…Ma dopo il 20 settembre, egli s’alza, e quattro mura gli chiudono il passo.” (pag. 7)
L’Italia nata dal Risorgimento, l’Italia culturalmente liberale e borghese ha nel 20 settembre il suo peccato originale ed in esso la sua condanna senza appello.
Saranno infatti le gambe fasciste di Mussolini assieme alle gambe di Pio XI che condurranno l’Italia fascista e la Chiesa di Roma a concordare di azzerare il passato e di segnare il futuro.
Si leggeva nel Trattato politico:
“Art. 26 - La Santa Sede […] dichiara definitivamente ed irrevocabilmente composta e quindi eliminata la Questione romana e riconosce il Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano”.
E ugualmente nella Convenzione finanziaria si leggeva:
“Art. 2 – La Santa Sede dichiara di accettare quanto sopra a definitiva sistemazione dei suoi rapporti finanziari con l’Italia, in dipendenza degli avvenimenti del 1870”.
(in Chiesa e Stato attraverso i secoli, documenti raccolti e commentati da S.Z. Ehler e J. B. Morrall. Introduzione di G. Soranzo, professore emerito di storia all’Università Cattolica del S. Cuore, Soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano, 1958, pag. 437, 438).
Veniva così cancellata la data del XX settembre 1870, una ricorrenza che nell’Italia pre-fascista, si festeggiava regolarmente. Ecco come la Gazzetta dell’Emilia di Bologna il 22 settembre 1902, anno XLIII, n. 262, la raccontava:
“A Massa Lombarda – A commemorare questa solenne ricorrenza la città è imbandierata, ed i Reduci delle Patrie Battaglie sonosi radunati a fraterno banchetto, il quale è riuscito oltre ogni dire concorde ed allegro.[…] Alla frutta pronunciarono patriottici discorsi il Presidente sen. Bonvicini, l’avv. Sangiorgi, il G.re Maccaferri, che furono tutti calorosamente applauditi. Infine fu spedito un telegramma al sindaco di Roma.”
Anche dalla lontana Palermo, nella quale c’erano problemi di separatismo, giungevano notizie della festa:
“Ci telegrafano da Palermo 21:
I festeggiamenti pel XX settembre assunsero in tutta l’isola e specialmente a Palermo il carattere di manifestazione anche come protesta per le idee separatiste attribuite falsamente alla Sicilia più che mai attaccata alla grane patria italiana. Il sindaco pubblicò un patriottico manifesto, la città era imbandierata.
Ieri sera suonavano i concerti nelle piazze e le vie erano illuminate.[…] Un altro banchetto di 400 coperti fu promosso da un largo comitato composto di cittadini di tutti i partiti.[…] Furono applauditi i brindisi inneggianti al Re, all’unità della patria ed a Roma italiana. Fu spedito un telegramma al sindaco di Roma.”

(3) – L’11 febbraio 1858 e 1929, un’unica festa

(3) – L’11 febbraio 1858 e 1929, un’unica festa

Nella data dell’11 Febbraio prima del 1929, la Chiesa ricordava l’apparizione della Vergine Immacolata nella Grotta di Lourdes nell’anno 1858, alla giovane Bernadette Soubirous.
Ma vediamo quali compagni di calendario trovava questa data nel mondo fascista.
Per questo facciamo “la fotografia” dell’Italia del 1932 X anno dell’Era Fascista, come si doveva scrivere allora, ed usiamo come “macchina fotografica” l’Almanacco della Scuola elementare a cura dell’Associazione Fascista della Scuola – 1932- a. X bemporad editori, Firenze.
Dopo la prima pagina stampata che contiene questo saluto di Benito Mussolini:
“Riprendiamo senza indugio il lavoro. Con entusiasmo, con fraternità, con quella assoluta dedizione di sé stessi alla Patria ed al Fascismo per cui il Partito Nazionale Fascista sta trasformandosi nell’ordine della perfetta obbedienza.
Da questa nostra grande fatica sorgeranno le fresche numerose generazioni che prepariamo e cioè: uomini di scarse parole, di freddo coraggio, di tenace laboriosità, di cieca disciplina, del tutto irriconoscibili dagli italiani di ieri.
E’ con questa virtù che l’Italia Fascista si farà largo nel mondo”. MUSSOLINI
Il fanciullo con “cieca disciplina” poteva leggere a pag. 1, questo elenco delle festività da onorare:
Anno 1932
Nell’anno 1932 dalla nascita di Cristo (era cristiana, secondo il computo gregoriano) comincia:
l’anno 7132 dalla Creazione del Mondo (secondo il Martirologio romano);
l’anno 2685 dalla Fondazione di Roma (secondo Marrone, il 21 aprile);
l’anno 6645 del Calendario Giuliano;
l’anno 4838 dal Diluvio Universale;
l’anno X dell’Era Fascista (iniziatosi il 28 ottobre 1931)*

Feste religiose con effetti civili, feste nazionali, solennità civili e consuetudinarie
Fisse
Tutte le domeniche
1 Gennaio – Circoncisione. Capodanno
6 Gennaio – Epifania
8 Gennaio – Genetliaco di Sua Maestà la Regina
9 Gennaio – Morte di Vittorio Emanuele II
11 Febbraio – Conciliazione fra lo Stato e il Vaticano
19 Marzo – S. Giuseppe
23 Marzo – Annuale della Fondazione dei Fasci
21 Aprile – Natale di Roma
24 Maggio – Entrata in guerra
29 Giugno – Santissimi Pietro e Paolo
15 Agosto – Assunzione di Maria Santissima
15 Settembre – Nascita di Sua Altezza Reale il Principe Ereditario
12 Ottobre – Anniversario della scoperta dell’America
28 Ottobre – Anniversario della Marcia su Roma
1 Novembre – Ognissanti
2 Novembre – Commemorazione dei defunti
4 Novembre – La Vittoria
11 Novembre – Genetliaco di Sua Maestà il Re
8 Dicembre – Immacolata Concezione
24 Dicembre – Vigilia di Natale
25 Dicembre – Natività di Nostro Signore Gesù Cristo
31 Dicembre – Ultimo giorno dell’anno

Mobili
4 Febbraio – Giovedì gasso
9 Febbraio – Carnevale
10 febbraio – Le Ceneri
24 Marzo – Giovedì Santo
5 Maggio – Ascensione
26 Maggio – Corpus Domini

*L’indicazione del 1931 è chiaramente un refuso, al posto di quella data bisogna leggere 1922. Nonostante il “freddo coraggio”, e la “tenace laboriosità” si riusciva a sbagliare nientepopodimeno che la data della presa del potere in Italia da parte di Mussolini.

Alla pagina dell’Almanacco del giorno Giovedì 11 Febbraio 1932, sempre il medesimo fanciullo leggeva:
“Apparizione della Vergine Immacolata nella Grotta di Lourdes, nell’anno 1858, alla Beata Bernadette Soubirous. – Santi Rufino e compagni, martiri.
(1929) – Nel Palazzo del Laterano, il Cardinal Gasparri e Benito Mussolini, firmeranno il Trattato di Conciliazione tra Chiesa e Stato. – Costituzione della Città del Vaticano.
L’11 febbraio è dichiarato solennità civile, e sostituisce la festività del 20 settembre, che rimane abrogata.”
Il 13 ottobre 1996 sul quotidiano dei Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana – CEI., “Avvenire” a pag. 19, si poteva leggere questo:
“…La recente ricorrenza del 20 settembre (la presa di Porta Pia e la fine temporale dei Papi) un tempo annuale occasione di aspre polemiche fra clericali e anticlericali e oggi quasi completamente dimenticata…”.
Nessuna notizia sul fatto che il 20 settembre era stato cancellato nel 1929 non dallo scemare delle polemiche fra clericali e anticlericali e dall’oblio, ma dai Patti Lateranensi dell’11 Febbraio, giorno anche dell’apparizione a Lourdes della Vergine Immacolata.
Il 20 settembre 1870 era stato cancellato da Mussolini, Pio XI e dalla Madonna: non c’era partita.

(4) – La festa del 2 Giugno 1946

Nata la Repubblica Italiana antifascista, con l’aiuto degli eserciti Alleati e dei Resistenti italiani, la data del 2 giugno è diventata festa nazionale.
Ma negli anni ’70 del XX secolo prende forma non più un Concordato fra Stato e Chiesa ma un “Compromesso” che si autodefinisce “storico”, tra la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista Italiano.
Come nel 1929 una visione totalitaria del mondo, questa volta comunista – quella volta era stata fascista – affascina la componente cattolica e come prima cosa riordina il calendario, ridefinisce il tempo.
Come nel 1929 con il “Concordato” si era iniziato a cancellare la memoria della festa del XX settembre in ricordo della breccia di Porta Pia e del compimento dell’unità d’Italia, così nel 1977 con il “Compromesso” viene abolita dal calendario la festa del 2 giungo.
E’ nell’Italia dominata dal compromesso tra cattolici e comunisti che, cosa unica al mondo, in una Repubblica non si festeggia più la data della sua nascita che diventa mobile e viene spostata alla prima domenica di giugno.
Le difficoltà, per l’Italia, ad avere una festa nazionale, un proprio “14 luglio” sentito da tutti, erano così riconfermate dalla cultura vincente della sua classe dirigente: nel ventennio cattolica e fascista; nell’Italia repubblicana cattolica e comunista.
La festa della Repubblica è stata ripristinata dal Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi il 2 giugno 2001, un Presidente significativamente al di fuori della cultura fascista e comunista e quindi anche senza concordati o compromessi da sottoscrivere.
Un presidente che durante la Seconda guerra mondiale era stato sottotenente dell’esercito e poi era passato in Abruzzo tra i partigiani e che disse nel giorno del suo 80 compleanno: “L'Italia che sognavo allora, libera, né fascista né comunista, alla fine siamo riusciti a costruirla” ( in “Corriere della Sera”, sabato 9 dicembre 2000, articolo "E' l'Italia che sognavo da ragazzo. Né fascista né comunista, libera" di Marzio Breda, pag. 13).
Un Presidente nella cui storia culturale e politica ha avuto posto anche l’appartenenza a quell’area che non si rifaceva né alla D.C. né al P.C.I., ma al Partito d’Azione e a Giustizia e Libertà.
Il Presidente Ciampi ha cercato fin dal primo giorno del suo mandato, di restituire alle parole “patria”, “inno nazionale”, “Italia” quel significato pre-partitico che avevano perso, che le rendesse praticabili a tutti, senza che nessuno se ne appropriasse come aveva fatto la cultura fascista, o le respingesse come aveva fatto la cultura cattolica e quella comunista.
Difficile dire se Ciampi ce l’ha fatta.

(5) – 2 Giugno 2008 ore 10,00 sfilata militare dei Fori Imperiali

Sfilano i militari italiani davanti al palco delle autorità.
Le più alte autorità nazionali e cittadine: il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente del Senato e della Camera, il Sindaco di Roma, per citare le più importanti, sono tutte lì sorridenti ed abbronzate.
Autorità meravigliose e meravigliate di essere ancora lì ad applaudire con i loro 15, 20, 30, 40 o 50 anni di vita parlamentare. Autorità che si ripresentano sempre "finchè morte non ci separi".
Autorità che applaudono se stesse, simulacri intatti come il corpo di Padre Pio.
Forse Ciampi non ce l’ha fatta.
Ancora.

giovedì 29 maggio 2008

(1) Federalismo fiscale: l'ICI

E’ la nuova frontiera della tassazione, è il decentramento fiscale e così via.
Il primo atto di questo nuovo modo di considerare le tasse è stato quello di toglierne una locale cioè l’ICI: imposta comunale sugli immobili.
Il contrario di quello che si va ad affermare.
Visto che è inutile criticare senza proporre. Dopo la critica, ecco una soluzione alternativa senza oneri a carico di nessuno.
Seguendo la filosofia del federalismo fiscale bastava che il singolo contribuente continuasse a pagare l’ICI al proprio Comune e nel contempo la togliesse dall’Importo dell’IRPEF che lo stesso versa allo Stato.
Togliendola invece ai Comuni si costringono gli stessi a dipendere ancor di più dal Governo centrale, proprio in nome del federalismo.

(2) Federalismo fiscale: addizionale regionale, addizionale comunale

Ma l’Italia è uno Stato fortemente centralizzato, la cultura del centro è in ogni dove: si cura il centro delle città; si salvaguarda il centro di ogni cosa compresa la virtù che è logicamente in centro.
Il federalismo che si va annunciando oltre ad essere una contraddizione in termini - federare politicamente significa avvicinare tante parti divise e non dividere una unità – rischia di moltiplicare il centro in tanti centri quanti sono per esempio le Regioni od i Comuni.
Anche le Regioni ed i Comuni hanno così comportamenti che sono un “copia incolla” di quelli del Governo centrale.
Per capire meglio questo concetto è bene esaminare una tassa di cui nessuno parla e che la maggior parte dei contribuenti ne ignora l’esistenza: si tratta dell’Addizionale regionale all’IRPEF e dell’ Addizionale comunale all’IRPEF, tasse che incassano le regioni ed i comuni in cui si abita.
Una tassa di cui nessuno parla perché è nascosta ed automatica.
Una tassa per la quale un contribuente con un reddito annuo di 26.500 Euro che vive nella Regione Emilia Romagna e nel Comune di Bologna ha pagato negli anni dal 2005 al 2007, le seguenti cifre:
Anno 2005 - Add. Regionale E. 229,00
Anno 2006 – Add. Regionale E. 239,00 + 4,4%
Anno 2007 - Add. Regionale E. 375,00 + 56,5%
Ciò significa che dal 2005 al 2007 l’addizionale Regione Em. Romagna è aumentata del 63,5% (229,00 x 63,5% = E. 374).
Per brevità si tralascia di riportare gli importi dell’addizionale comunale che ricalcano gli aumenti di quella regionale e che del resto ogni lavoratore dipendente può vedere nel propri CUD di ognuno di questi anni.
L’aumento del prezzo del pane, della pasta, del latte di cui sentiamo e leggiamo quasi tutti i giorni, è costato e costa molto meno al singolo che non l’aumento, del tutto ignorato, delle varie addizionali.
Nessuna carica istituzionale della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna, né delle opposizioni nelle medesime istituzioni ha spiegato o chiesto di rendere ragione se non dell’esistenza e dell’utilizzo di quelle addizionali, almeno di tali aumenti i cui incrementi nei tre anni non sono stati raggiunti nemmeno dal prezzo del petrolio che ha come riferimento non un comune od una regione, ma il mondo intero.
Se poi vogliamo restare in Italia si può osservare che il prezzo della benzina ha avuto nei tre anni esaminati questo andamento:
2005 costo medio annuo benzina E. 1,22 litro
2006 costo medio annuo benzina E. 1,28 litro + 5%
2007 costo massimo raggiunto E. 1,37 litro + 7,1%
con un aumento nei tre anni del 12,5% (1,22 x 12,5% = E. 1,37)

(3) Federalismo fiscale: molto probabilmente la cancellazione dell'ICI l'abbiamo già pagata in anticipo

Con gli importi e gli aumenti delle varie addizionali ai livelli sopra visti si può dire che l'ICI è stata praticamente recuperata ancor prima di essere abolita.
Vi è un'altra considerazione da fare ed è questa: se con le varie addizionali si è voluto recuperare l’ICI prima di toglierla si deve osservare che in questo modo l’ammanco derivato dalla sua cancellazione è stato integrato anche da chi la casa non la possiede, infatti le addizionali ed i loro aumenti hanno colpito tutti: possessori e non possessori di appartamento.
Cancellando in questo modo l’ICI si è di fatto cambiato nome ad una imposta si è così allargata la base dei contribuenti e gli Enti locali hanno probabilmente incassato di più di quando la tassa si chiamava ICI e non addizionale.

(4) Il sistema fiscale italiano:IRPEF, addizionali varie, tasse che non si percepiscono

Ma come è possibile che si possa pagare - con un reddito di 25.600 Euro l’anno, per seguire l’esempio di cui sopra – un importo di 5.600 Euro circa di IRPEF e di 500/600Euro di addizionali, senza averne alcuna percezione?
Per capirlo bisogna andare indietro nel tempo, precisamente agli anni ’70 del XX secolo.
In quel decennio è accaduto qualcosa che oggi consente agli imprenditori, ai politici ed ai vertici sindacali di dire che i lavoratori dipendenti devono avere più soldi nella busta paga, non aumentando l’importo degli stipendi e dei salari – che sarebbe la cosa più logica essendo i salari e stipendi italiani tra i più bassi d’Europa - ma diminuendo la voce “tasse” nella stessa busta paga.
Negli anni ’70 è successo cioè che le tasse sono diventate una componente della busta paga, attraverso la riforma fiscale.
In quegli anni la scena politica era dominata dal dibattito sul “Compromesso storico” a cui tendevano il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana.
Erano gli anni la cui scena sociale era occupata da stragi di cittadini inermi nelle piazze e sui treni e di assassinii di gente inerme sulle strade.
I lavoratori dipendenti si videro da un mese all’altro diminuire improvvisamene lo stipendio.
Cosa era avvenuto?
Era accaduto che da quel momento in poi nella busta paga dei lavoratori dipendenti ci sarebbero state le tasse.
La paga mensile dei lavoratori dipendenti era decurtata dell’IRPEF ancora prima che potessero materialmente incassare l’imponibile che generava quell’IRPEF.
Era cioè accaduta una mutazione nel DNA della Repubblica Italiana. I lavoratori dipendenti avevano come esattore non una figura che rappresentava lo Stato, ma i rispettivi datori di lavoro.
Cioè il lavoratori dipendete non versava più nulla. Il datore di lavoro prelevava, prima di pagarlo, dalla sua busta paga l’importo delle tasse, per poi versarle allo Stato.
Questo creava anche la possibilità per i datori di lavoro disonesti, come già poteva accadere per i contributi previdenziali, di trattenere per sé anche l’IRPEF non versandola allo Stato.
Con questo modo di incassare le tasse si manifestava la massima sfiducia verso i lavoratori dipendenti e la massima fiducia nei confronti dei loro datori di lavoro.
Datori di lavoro che con il passare degli anni oltre che esattori dello Stato lo sarebbero diventati anche delle Regioni, Province, Comuni.

(5) Sistema fiscale italiano: una mutazione costituzionale

L’articolo 15 della Costituzione, nella parte dedicata ai Diritti e Doveri dei cittadini, recita al paragrafo uno:
”La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.”
Significa che una busta con sopra il nome di un cittadino può essere aperta solo dal cittadino stesso. Quella busta, così come il domicilio e la libertà personale di ognuno di noi è inviolabile.
Dopo la riforma fiscale degli anni ’70 invece nella busta paga dei lavoratori dipendenti “mette le mani” il datore di lavoro, facente funzione nell’ordine: dello Stato, della Regione, della Provincia, del Comune. Solo dopo quelle incursioni il lavoratore ha tra le mani la sua busta paga che “apre” per ultimo e nella quale trova ciò che è rimasto delle varie sottrazioni.
Ecco perché non percepisce né il numero delle imposte né la quantità di denaro che ha versato
perché in effetti lui non versa nulla e quindi non può percepire una cosa che non fa.
E’ questa la grande trovata a cui negli anni ’80 si aggiungerà il meccanismo dell’8 per mille e quello del 5 per mille, che nessuno versa materialmente.
L’approdo di questa mutazione genetica avvenuta negli anni ’70 è stato in questi giorni la possibilità che in modo anonimo ed attraverso internet si potesse accedere alla visione del reddito, gli uni degli altri.

(6) Sistema fiscale italiano: i Patronati diventano CAAF

Questa mutazione nel modo di pagare le tasse da parte dei lavoratori dipendenti in Italia è stato attivato con l’assenso operoso dei sindacati dei datori di lavoro, dei sindacati dei lavoratori, nonché dei massimi due partiti dell’epoca: la DC al governo ed il PCI all’opposizione.
Tutto ciò ha avuto conseguenze concrete. Ha rafforzato presso la classe politica la posizione dei datori di lavoro: erano diventati gli esattori ed i vettori di una parte importante delle entrate dello stato, del denaro cioè che sarebbe stato utilizzato dai politici di turno.
Ma è stata rafforzata anche la posizione dei sindacati dei lavoratori. Infatti con l’andar degli anni anche loro sono entrati operativamente nel tragitto che le tasse dei lavoratori dipendenti fanno verso lo Stato.
Se i datori di lavoro prelevano l’IRPEF dei propri dipendenti, i sindacati dei lavoratori sono diventati attraverso i vari patronati e Centri Assistenza Fiscale, i commercialisti dei lavoratori dipendenti.
Curano infatti la compilazione del 730 ed il calcolo, fino ad oggi, dell’ICI. Per questo servizio ricevono un compenso sia dallo Stato che dal singolo contribuente lavoratore dipendente.

(7) Sistema fiscale: il lavoratore dipendente, incapace di intendere e di volere.

Il sistema fiscale introdotto negli anni ’70 ha indebolito la posizione dei lavoratori dipendenti che nel momento della celebrazione della loro “forzata onestà contributiva”, sono trattati perciò stesso come evasori sia pure potenziali in quanto impossibilitati ad esserlo.
Pur “versando” le tasse per intero i lavoratori dipendenti risultano non avere “capacità contributiva”, non decidendo infatti di pagarle. Chi non ha “capacità contributiva”non esiste socialmente.
Quindi “soggetti” fiscali che diventano “oggetti” ai quali non si deve alcuna spiegazione: l’automatismo di prelevamento nel quale chi “versa” non ha nessuna parte attiva facilita la dimenticanza delle istituzioni che introducono od aumentano tasse, perfino di comunicarlo al tassato.
E le altre componenti sociali che pagano le tasse?
Nulla. Continuano a pagarle direttamente allo Stato. Hanno un rapporto diretto con lo Stato.

(8) Sistema fiscale italiano: emergenza

Quando quasi come un unico sistema, i politici, i sindacalisti, i giornalisti, i religiosi indicano argomenti all’ordine del giorno come: i rom, l’Alitalia, la microdelinquenza, la spazzatura, le cellule staminali, l’aumento della benzina, l’aumento del prezzo del pane etc.
Quando si è sempre in emergenza, quando l’emergenza è una componente costante della nostra vita politica, culturale e sociale, c’è qualche cosa che non va.
Quando si passa da emergenza ad emergenza senza mai risolverne una, c’è qualcosa che non va.
Sorge il dubbio che qualunque e chiunque ne sia il protagonista si può affermare che si è in presenza di distrazione dell’attenzione del cittadino, specie del più disarmato, colui che chi sta nelle istituzioni considera già un oggetto.

giovedì 22 maggio 2008

(1) - Maggio 2008 – Benedetto XVI visita la Liguria.

Papa a Savona: Nessuna pressione può far tacere la Chiesa.
Nell’omelia della messa celebrata in piazza del Popolo per oltre 30 mila fedeli ha lodato l’esempio di “serena fermezza” dato dal Pontefice Pio VII che riuscì comunque a far pervenire “messaggi, nascosti anche nei cestini della verdura”, impedendo in questo modo che Napoleone potesse procedere a nominare lui stesso i vescovi.
Questo è quello che ha detto in sintesi l’attuale Pontefice Benedetto XVI lodando il comportamento del suo collega Pontefice Pio VII verso Napoleone.
E’ utile per comprendere il grado di informazione ricevuta dai fedeli riuniti n piazza del Popolo, vedere cosa è anche successo tra Pio VII e Napoleone.

(2) - Luglio 1801 – Pio VII e il Concordato con la Repubblica Francese di Napoleone

Pio VII come molti altri papi prima e dopo di lui, concordò con il potente di turno. In quell’anno era Napoleone Bonaparte. Il Concordato sottoscritto da Pio VII e Napoleone riguardava sia cose temporali sia discipline ecclesiastiche e fu vergato come si legge “in considerazione dell’utilità che dal presente Concordato ridonda all’interesse della Chiesa e della religione.”
Al Concordato il Cardinale Legato Caprara, in nome della Santa Sede, premette le seguenti parole:
“Noi vi annunziamo, o Francesi, colla maggior gioja e colla più dolce consolazione, come un effetto della bontà del Signore, il fausto adempimento di ciò che fu l’oggetto delle sollecitudini del nostro Santissimo Padre Pio VII fin dai primi giorni del suo Apostolato, quello dei vostri voti i più sospirati, dei vostri desiderj i più fervidi, io voglio dire del ristabilimento della religione nel beato vostro paese, dopo tanti mali che avete sofferti. […]
L’utilità della Chiesa, il desiderio di conservar l’unità, la salute delle anime, furono i soli suoi motivi in tutto ciò che fece per adattare ogni cosa ai tempi e ai luoghi. Se quindi paragonasi il nuovo ordine stabilito negli affari ecclesiastici col disordine generale che vi esisteva prima, non v’ha alcuno che non debba rallegrarsi di vedere la religione cristiana ristabilita in tanto migliore stato. Sembrava essa quasi annichilita agli occhi di tutto il mondo; ed ora, sostenuta dalle leggi e protetta dall’autorità suprema del Governo, rinasce maravigliosamente. IL PRIMO CONSOLE della vostra Repubblica, A CUI DOVETE PRINCIPALMENTE UN SI GRAN BENEFIZIO, che venne destinato a restituire l’ordine e la tranquillità all’afflitta Gallia, SIMILE AL GRAN COSTANTINO, impresa la protezione della cattolica religione, lascierà di sé e de’ presenti tempi nei monumenti della Chiesa gallicana, un’eterna e gloriosa memoria.” (da Achille Gennarelli, La Politica della Santa Sede e gli atti del Buonaparte, Ed. G. Mariani, Firenze, 1862, pag . XV, XVI).
Oltre a paragonare Napoleone al “Gran Costantino”, la Chiesa nella persona di Pio VII riconobbe la Repubblica Francese. Tutti i vescovi precedenti, sia costituzionali che refrattari, furono sostituiti da altri, nominati dal Primo console, cioè da Napoleone, ed insediati dal papa. I vescovo poi dovevano giurare fedeltà alla Repubblica francese. Forte di questo Concordato Napoleone l’anno dopo, 1802, viene nominato, attraverso un plebiscito, console a vita.

(3) - Settembre 1803 – Pio VII e il Concordato con la Repubblica Italiana di Napoleone

(3) - Settembre 1803 – Pio VII e il Concordato con la Repubblica Italiana di Napoleone
Al Concordato con la Repubblica francese, si aggiunse nel 1803 un Concordato tra Pio VII e la Repubblica italiana che era sempre sotto il potere di Napoleone.
Il riconoscimento da parte di Pio VII della Repubblica italiana di Napoleone avveniva nonostante la Repubblica italiana fosse formata in gran parte da province pontificie:
“Per esso il Papa tratta con la Repubblica Italiana, formata in gran parte di pontificie province, e così la riconosce; non solo, ma accorda al Presidente di questa Repubblica la scelta di tutti gli Arcivescovi e Vescovi nella medesima compresi, cioè quelli di Bologna, Ravenna, Ferrara, Imola, Carpi, Cesena, Forlì, Faenza, Rimini. Comacchio. Non basta: concorda perfino la seguente formula di giuramento da prestarsi dai Vescovi e Arcivescovi – Io giuro e prometto sui Santi Evangeli ubbidienza e fedeltà al Governo della Repubblica Italiana. Similmente prometto che non terrò alcuna intelligenza, non interverrò in alcun consiglio, e non prenderò parte in alcuna unione sospetta o dentro o fuori della Repubblica, che sia pregiudievole alla pubblica tranquillità, e manifesterò al Governo ciò che io sappia trattarsi o nella mia diocesi o altrove in pregiudizio dello Stato.” (da Achille Gennarelli, La Politica della Santa Sede e gli atti del Buonaparte, Ed. G. Mariani, Firenze, 1862, pag. XIII, XIV).
Fino a qui la “serena fermezza” di Pio VII verso Napoleone lo aveva portato, tra l’altro, a concordare la nomina dei vescovi sia francesi che italiani da parte delle rispettive autorità civili, nonché a fare giurare gli stessi vescovi fedeltà alle rispettive repubbliche.

(4) - Dicembre 1804 – Pio VII a Parigi per l’incoronazione di Napoleone Imperatore

Il carattere del suo rapporto con la Chiesa aveva evidentemente concesso a Napoleone molti bonus. Il suo status continuò ad ingrandirsi.
L’autoincoronazione di Napoleone imperatore a Notre Dame a Parigi venne benedetta da Pio VII e la formula pontificale venne cambiata da “Imperatorem eligimus” in “Imperatorem consacratori sumus”, accompagnata dalle note del“Veni Creator Spiritus”.
L’anno dopo, 1805, Pio VII si troverà nel Duomo di Milano per la cerimonia l’incoronazione di Napoleone come Re d’Italia.

(5) - Pasqua 1808 – Napoleone diventa "Christianissimo imperatore nostro".

Nella primavera del 1808 anche la Toscana fu annessa all’impero napoleonico. Le autorità bonapartiste sollecitarono i vescovi toscani affinché riformassero la liturgia della Settimana Santa particolarmente in due punti. Il primo sostituendo alla classica preghiera per l’imperatore dei Romani un’orazione per Napoleone “Christianissimo imperatore nostro”.
Il secondo punto lo vedremo dopo.
I vescovi di Chiusi, Pienza, Pistoia, Prato, Pescia, Fiesole, Livorno, il vicario generale di Firenze, l’arcivescovo di Pisa si attivarono immediatamente prescrivendo ai rispettivi parroci che nelle funzioni della Settimana Santa in preparazione alla Pasqua del 1808 si pregasse per Napoleone.
Pio VII accettò l’iniziativa e si dichiarò d’accordo. In quella Settimana Santa si pregò nelle chiese toscane per Napoleone quale “Christianissimo imperatore nostro”.

(6) - Maggio 2008 – Benedetto XVI visita la Liguria.

(6) - Maggio 2008 – Benedetto XVI visita la Liguria.
Di tutti questi anni di collaborazione tra Pio VII e Napoleone nelle parole di Benedetto XVI sono rimasti i “messaggi, nascosti anche nei cestini della verdura”, che non hanno lasciato traccia nella storia, essendo appunto “messaggi, nascosti anche nei cestini della verdura”.
Ben altra traccia ha lasciato il comportamento di Pio VII rispetto all’uso dei concordati con i potenti di turno: si pensi ai concordati tra Pio XI e Mussolini nel 1929, e tra Pio XI e Hitler nel 1933. Ma non mancherà l’occasione di tornarci sopra.

(7) - Ancora Pasqua 1808 - Pio VII e gli ebrei perfidi.

Ma qui ora interessa il secondo punto lasciato in precedenza in sospeso cioè la richiesta da parte delle autorità bonapartiste di riformare nella Settimana Santa del 1808, cioè di cambiare l’espressione perfidis Judaeis presente nella solenne liturgia del Venerdì Santo, con altre meno definitive come “accecati giudei” o “giudaica cecità”.
Da Roma Pio VII rispose che se per Napoleone non c’era alcun problema nel considerarlo “Christianissimo imperatore nostro”, vi era il divieto assoluto di sostituire nella preghiera per la conversione dei Giudei, il “perfidi” con “accecati” o “perfidia” con “cecità”:
Se si facesse ora un cambiamento parrebbe che la Chiesa avesse fin'ora errato, e riconoscesse ora negli ebrei non più un errore di malizia e di ostinazione, ma di semplice cecità e ignoranza”. (da Monsignor Giuseppe Croce, “Pio VII, il cardinal Consalvi e gli ebrei”, in “Pio VII papa benedettino”, Badia di Santa Maria del Monte, Cesena).

(8) - Agosto 1871 - Pio IX e gli ebrei cani

Pio IX il 24 agosto del 1871 davanti ad un gruppo della Pia Unione delle donne cattoliche di Roma
Così parlava degli ebrei:
“Or gli Ebrei, che erano figli nella casa di Dio, per la loro durezza e incredulità, divennero cani.
E di questi cani ce n’ha pur toppi oggidì in Roma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e ci vanno molestando per tutti i luoghi. Speriamo che tornino ad essere figli.” (in “La Voce del S. Padre Pio Nono”, 1874, Fascicolo Nono, Bologna, Tipografia Felsinea, Strada Maggiore, 206, pag. 264, 265).

(9) - Febbraio 1945 – Pio XII e gli ebrei perfidi, increduli

Siamo a Roma nel drammatico febbraio del 1945. Zolli già Gran Rabbino di Roma si è appena battezzato ed ha assunto il nome di Eugenio “proprio in ringraziamento a Papa Eugenio Pacelli per quello che aveva fatto nella assistenza agli ebrei”. Il convertito Zolli accompagnato dal gesuita padre Paolo Dezza si reca in udienza dal papa. Zolli domanda al papa di “togliere dalla liturgia quelle espressioni sfavorevoli agli ebrei come “perfidis judaeis”. Pio XII: “fece pubblicare la dichiarazione che “perfidi” in latino significava “increduli” (in “L’Osservatore della Domenica” 28 giugno 1964, articolo “Si lamentano che il Papa non parla ma il Papa non può parlare” pag. 69).
E’ evidente che perfidi in latino non significa increduli. Basta consultare un Vocabolario della Lingua Latina (come il Loescher 1966 nuova edizione 1990) che alla voce perfidus si può leggere:
“perfido, sleale, ingannatore, traditore, pericoloso; sono sleali tutti quelli che fingon di fare una cosa
e ne fanno un’altra”.
Colpisce come la descrizione del vocabolo perfidus sembra la summa di ciò che è stato detto degli ebrei negli ultimi due millenni.
Oltre a ciò, bisogna aggiungere che i fedeli cattolici avevano nei loro Messali in essere durante e dopo il pontificato di Pio XII – fino al Concilio Vaticano II – la traduzione che in italiano definiva i Giudei “perfidi”.
Precisamente nel Messale Vesperale Latino-Italiano edito dalla Casa Editrice Pontificia nel 1957, si leggeva nella liturgia del Venerdì Santo, seconda parte “Le preghiere solenni”, la seguente preghiera:
“Per la conversione dei Giudei. – Preghiamo anche per i perfidi Giudei, affinché il Signore tolga il velo che copre i loro cuori e così riconoscano anch’essi Gesù Cristo nostro Signore.
Orémus. V. Flectàmus génua.- R. Levate.
O Dio onnipotente ed eterno, che non escludi dalla tua misericordia neppure i perfidi Giudei, esaudisci le preghiere che ti rivolgiamo per quel popolo accecato, affinché riconosca Cristo, luce di verità, e così sia liberato dalle tenebre. Te lo chiediamo in nome dello stesso Gesù Cristo.”( Messale Vesperale Latino-Italiano, Casa Editrice Pontificia, 1957, pag. 145, 146).
Era accaduto che Pio XII veniva smentito dalla Casa Editrice Pontificia, praticamente smentiva se stesso.
Bisognerà aspettare il XX secolo, il 1962 e Giovanni XXIII perché l’espressione perfidi giudei venga eliminata dalla preghiera del Venerdì Santo.

Sud Africa: non solo i bianchi

In Sud Africa sta accadendo che “i neri” sudafricani cacciano ed anche uccidono neri immigrati, per esempio, dallo Zimbabwe, la ex Rhodesia.
Secondo la storia che noi studiamo erano i bianchi che usavano violenza ai neri. Erano i coloni bianchi che utilizzavano gli schiavi neri per il loro bisogni.
La storia così raccontata è il frutto della “Storia come maestra di vita”. Della storia come facente parte di un disegno sia esso Teo od aTeo.
Una storia che è come un catechismo dove ad ogni domanda corrisponde una risposta chiara, precisa ed esaustiva.
Ma fratelli neri che uccidono fratelli neri smentiscono tutta questa costruzione. Non esistono colori, popoli, ideologie o religioni buoni o cattivi per definizione.
Tra i Watussi – per noi italiani simpatici protagonisti di una canzone per l’estate di tanti anni fa – il sentimento di superiorità verso popolazioni come i Bantù è del tutto normale.
Ciò non toglie che fra mille contraddizioni furono proprio gli inglesi a porre fine alla tratta degli schiavi cui partecipavano dei re africani.
Ciò non toglie che “i bianchi” abbiano partecipato alla tratta degli schiavi: il nero schiavista non fa il bianco non schiavista e viceversa.

giovedì 15 maggio 2008

rom, zingari, nomadi

In Italia si va ad ondate di emergenze. Di volta in volta gli addetti all’informazione mettono in primo piano le categorie “più colpevoli”.
Solo una settimana fa ad Assisi il sindaco ha emesso una ordinanza che vieta a chi lo fa, di chiedere l’elemosina - accattonaggio è il termine usato che mette non solo in inferiorità ma denota un potenziale delinquente – ad una distanza inferiore ai 500 metri da una chiesa.
Ora ad Assisi, tra S. Rufino, Santa Chiara, Basilica inferiore e superiore, in centro e San Damiano, Rivotorto e la Porziuncola, fuori le mura, per dire solo le più note, vi sono chiese in ogni dove.
Conseguenza: nessuno può più chiedere l’elemosina senza commettere un reato.
L’Assisi di oggi è lo specchio dell’Ordine riorganizzato dall’efficiente e pragmatico Frate Elia successore di Francesco, e non la proposta di vita senza glossa voluta da Francesco che ha riscattato la povertà ed il povero, chiamando la prima Madonna Povertà e il secondo frate, fratello.
Ma la proposta di vita di Francesco d’Assisi era talmente esistenziale che non poteva essere trasposta in un Ordine sia pure mendicante.
Oggi c’è rimasto infatti l’Ordine ma non più il mendicante che viene allontanato dal sagrato di ogni chiesa di Assisi secondo la più ferrea tradizione, dall’autorità civile, poiché la Chiesa, quando può, preferisce che di queste cose se ne occupi l’autorità civile.
C’è poi da chiedersi quale concetto il sindaco di Assisi abbia dei suoi cittadini, ed i frati dei loro fedeli assisani. Se davanti alle chiese o nei loro pressi la presenza dei medicanti è un disturbo, dovrebbe esserlo anche davanti o nei pressi delle case degli abitanti di Assisi.
Si attendono chiarimenti.
Regolamentati i poveri in Assisi, oggi in prima pagina sui giornali campeggiano i rom.
I rom sono brutti, sporchi e cattivi: sono i classici indifendibili della società.
Noi, i sedentari, siamo malvisti dai rom. Loro i rom, sono malvisti da noi sedentari.
C’è un razzismo a senso doppio.
Chi pensa che la bontà risieda, perciò stesso, nella povertà o nell’indigenza fa del buonismo a scopo di lucro ideologico.
Francesco d’Assisi – per riprendere l’esempio di prima - ha colpito, è rimasto nella storia non perché era povero, ma perché era un ricco diventato povero.
Ha scelto la povertà e per questa scelta ha rinunciato ad un sacco di cose: la povertà significa anche, ce lo ha detto Francesco con la sua vita, rinunciare a formare una famiglia.
Tenerissima la scena di Francesco che modella alcuni pupazzi di neve e dice commosso che quella era la sua famiglia alla quale aveva rinunciato.
I poveri in quanto tali non fanno notizia o se la fanno è molto spesso perché infastidiscono.
Quindi sgombriamo subito il campo da tutto quella letteratura pietistica che dipinge il romanticismo della povertà come quelle statue con il capo piegato, gli occhi imploranti che ringraziano in eterno l’eventuale benefattore anche se con loro non sarà tale.
Ci è stata tramandata sì la memoria – l’unica – di un Vescovo, nella fattispecie quello di Assisi, che ha coperto un povero nudo con il suo mantello: quel povero era appunto Francesco che aveva appena fatto l’ultimo atto da ricco disfandosi dei suoi vestiti.
Non ci è stata tramandata memoria di un Vescovo che ha coperto con il suo mantello un povero nato tale.
Si c’è stato nel IV secolo Martino che ha dato metà del suo mantello di lana ad un povero seminudo, ma quando lo ha fatto era un soldato romano. Solo in seguito è diventato Vescovo di Tours.
E poi i rom di cui si parla oggi sui giornali non sono affatto i poveri pietosi o che vogliono impietosire: se lo fanno, impietosire, è spesso “per lavoro”.
Ci si ferma spesso, e spesso solo, sull’attività dei rom rispetto alla società sedentaria, rispetto a noi.
I noi non mettono lo stesso interesse verso l’organizzazione sociale dei rom, i loro usi e costumi.
Scoprirebbero che i rom hanno una organizzazione sociale che è spesso incompatibile con i nostri usi e costumi e leggi.
L’organizzazione sociale dei rom ha nella donna il centro economico. La donna ha una funzione fondamentale nel procurare i mezzi di sussistenza, crescere i figli e trasmettere tradizioni e cultura.
Nonostante la sua importanza operativa la donna zingara ha una posizione subalterna all’interno della famiglia, deve sottostare alle decisioni dei genitori prima e del marito poi, non consuma i pasti con gli altri membri della famiglia e i suoi contatti con la società esterna sono esclusivamente per chiedere l’elemosina e fare la spesa.
I matrimoni sono quasi sempre il frutto di un accordo tra le famiglie degli sposi, in genere ancora adolescenti, senza alcun contributo dei diretti interessati.
Una volta sposate, le donne entrano a far parte della famiglia del marito e devono accettare la sottomissione, oltre che al marito, anche ai suoceri.
Quando la vita con il marito o con i suoceri diventa insopportabile, si allontanano, pagando questo loro atto con la rinuncia dei figli che, secondo la tradizione, appartengono al marito: il sangue dei figli infatti sarebbe soltanto quello paterno.
E’ il maschio il dominatore assoluto e senza contraddittorio.
Quanto dolore nascosto e silenzioso in queste vite.
Se con l’andare del tempo, divenute suocere, sono proprio le donne rom i principali canali attraverso i quali si trasmettono gli usi e costumi appena visti, è proprio tra le giovani rom, più che fra i maschi, che si manifestano casi di ribellione a questo ordine costituito.
Oltre a ciò i rom sono formati da clan che possono essere in lotta tra di loro.
La situazione come si vede è molto complessa ed il problema della povertà è quasi sparito oscurato dal vero problema, quello della cultura nella quale la povertà è una variabile non un fatto costituzionale.
E’ la cultura il problema: la cultura che fa prigionieri quando è una cultura che non rende liberi.
C’è solo un momento nel quale la cultura rom e la società italiana si incontrano almeno potenzialmente alla pari: ed è nella scuola.
Certo la società italiana ha altri momenti di incontro più o meno istituzionali con i rom: assistenti sociali, opere varie in aiuto ai rom. Si tratta però pur sempre di assistenza: dove c’è l’assistenza non c’è parità.
E’ la scuola specie elementare, che in modo inaspettato e straordinario potrebbe riuscire ad essere il contenitore per un incontro di persone – nella fattispecie bambini - che ancora non totalmente integrate nelle proprie e rispettive culture tengono aperti contatti, come fossero spine universali, gli uni verso gli altri.
Certo la parità è solo potenziale, ma seduti tra i banchi i bambini rom e gli altri sono pur sempre nello stesso posto ed a fare la stessa cosa.
Certo la parità è pur solo generazionale: cioè tra i bambini di una stessa classe o scuola.
La parità di incontro anche nella scuola si ferma lì. Gli adulti della scuola siamo essi docenti e non docenti, seppur immersi totalmente nella propria cultura dovrebbero dare il massimo di sé, guardando i bambini rom e vedere nei loro occhi quello che i loro occhi hanno visto e vedono da quando sono nati.
Gli occhi dei bambini rom prima di chiudersi ed addormentarsi la sera dentro ad un furgone o ad una roulotte, vedono intorno a sé tre, quattro, cinque, sei e più fratelli accanto ai propri genitori. Fratelli che ridono piangono, litigano. Genitori che ridono, piangono si accoppiano.
Questo i piccoli occhi dei piccoli bambini rom vedono la sera e la notte se non dormono, in una promiscuità che non ha molto di umano secondo i nostri usi e costumi.
C’è ben poca poesia nella miseria.
Le mani dei bambini rom quando scrivono, non hanno una scrivania colorata su cui poggiare il quaderno. Scrivono probabilmente nell’indifferenza degli adulti rom che hanno intorno, perché la maggioranza di quegli adulti hanno una cultura per lo più orale e non scritta e considerano una perdita di tempo il fatto che i loro bambini stiano lì malamente a scrivere.
Nel migliore dei casi sanno che la scuola italiana li tollererà fino alla prima o seconda media. Poi i bambini rom verranno dalla scuola italiana ignorati con il grande sollievo specie dei maschi rom, capi clan che vedranno così confermato il perpetuarsi della propria cultura che li trova dominatori in un campo nomadi con qualche vecchio furgone o roulotte nel fango quando piove e nella polvere quando è estate.
Ci sono bambini rom, bambine specialmente, le più motivate al cambiamento, che alle elementari si impegnano. Hanno sete di conoscenza, hanno sete di avere amichette da ricevere in casa, da andare a trovare, ascoltare dischi assieme a loro. Ma non hanno casa in cui riceverle. Non sono gradevoli nel vestire e nell’aspetto. Non hanno docce sotto cui lavarsi se non, in quegli anni, quelle che si trovano nella scuola.
Fino a che la società italiana che è in una situazione di forza rispetto a quella rom, non avvicinerà di fatto gli usi e costumi dei rom a quelli previsti per ogni altro cittadino italiano, non potrà a cuor leggero giudicare ciò che i rom fanno verso la società che li circonda. Quello che fanno al loro interno infatti, compreso l'utilizzo dei bambini per produrre reddito, non interessa più di tanto.
Non sono i poveri il problema di Assisi, come non sono i rom il problema dell’Italia poiché hanno tolto più ricchezza sia materiale che morale agli italiani i vari stampatori e venditori di bond argentini od i vari protagonisti di reati finanziari.
Attendiamo dal sindaco di Assisi che emetta una ordinanza secondo la quale non debbano avvicinarsi a non più di 500 metri dalle chiese i pedofili, anche se sacerdoti.

martedì 13 maggio 2008

....190, 191, 192, 193, 194.

In Birmania il mare e l’acqua si sono scatenati contro gli abitanti. Non si conosce il numero dei morti ma è, per ora, nell’ordine di decine di migliaia. Ancora di più i dispersi.
La Cina ieri è stata colpita dal terremoto, anche qui i morti sono decine di migliaia ed i dispersi pure.
Pare che madre Natura in una settimana abbia deciso che in Birmania e in Cina ci fosse molta gente da eliminare.
Cosa avranno fatto in Birmania ed in Cina per meritarsi questi disastri che significativamente chiamiamo, quando sono di queste dimensioni, biblici?
Noi non lo sappiamo ma c’è qualcuno che dovrebbe darci una risposta: questa persona è il Papa.
Il Papa, il Vicario di Dio in terra.
Il Papa dovrebbe spiegarci, con l’aiuto dello Spirito Santo, perché l’altra settimana in Birmania e ieri in Cina, la Natura, la cui legge, Legge di Natura la dottrina della Chiesa riconosce e rispetta, ha colpito quei popoli. Ha colpito persona per persona, fissandone e distruggendone la vita nello stesso momento, tutto questo all’improvviso e senza che quasi le persone se ne potessero rendere conto.
La sacralità della vita è stata così non solo disattesa, ma del tutto ignorata dalla Natura che è, come tutto in questo mondo, governata da Dio.
Il Papa che legifera a tutto il mondo la Legge di Dio, ci dirà certamente perché è successo tutto questo.
Invece no. Per ora il Papa in questi giorni ha avuto in mente due cose: la festa della mamma e un numero, il 194. Gli altri numeri di questi giorni: 10.000 morti, 50.000 dispersi, 100/200.000 senza tetto e così via non lo hanno colpito?
La sacralità della vita tanto proclamata non è evidentemente devastata né da nubifragi, né da terremoti.
La sacralità della vita dell’uomo è insidiata parrebbe solo in Italia ed in particolare da una legge: la 194.
Dove non c’è il diritto c’è spesso qualcosa che si può spiegare con la magia.
Così abbiamo il Capo dello Stato della Città del Vaticano che indica, specificandone il numero, quali sono le leggi sbagliate della Repubblica Italiana.
Abbiamo la Repubblica Italiana il cui Presidente ed il cui Capo del Governo nulla dicono su questo.
E’ evidentemente normale che il Capo di uno Stato che non è l’Italia indichi quali sono le leggi buone o cattive in Italia. Se così è che cosa vanno a votare gli italiani, chi vanno ad eleggere se le leggi degli eletti possono in ogni momento essere delegittimate da un capo di Stato estero che per ironia della sorte ha sede nella stessa capitale della Repubblica Italiana?
La risposta è: nulla e nessuno.
Se è così la Repubblica Italiana è un simulacro.
Ciò si può spiegare solo con la magia.
Come è una situazione magica il fatto che la 194, la legge che regolamenta tra l’altro l’aborto, abbia in calce la firma di un cattolico dell’importanza di Andreotti.
Quando nel 1978 in Italia i cattolici conservavano il potere firmando leggi come la 194, mettevano il loro nome e cognome sotto la 194 per introdurre in Italia la possibilità legale dell’aborto.
Quando nel 2008 in Italia i cattolici, cambiato come si dice il vento, il clima, possono conservare od aumentare il potere abolendo la 194, si muovono con questo obiettivo.
E la difesa della vita dove è in tutto ciò?
Non c’è: la cellula, l’embrione, financo il povero e solitario spermatozoo sono mezzi per fare esistere non l’uomo, ma la Chiesa.
E’ questa la semplice e immorale morale della posizione della Chiesa verso la 194.
E’ la Chiesa che ha “il diritto” di esistere fino alla fine dei secoli per poter portare la Verità. L’uomo, la vita si può invocare o silenziare a seconda la bisogna: l’uomo nasce, vive e muore, la Chiesa resta. Il soggetto non è “l’uomo” o “la donna”, ma “l’esercizio della sessualità”.
Il posto che occupano l’uomo e la donna è il posto del loro utilizzo per assicurare lunga vita alla Chiesa.
Infatti il Signor Ratzinger, Benedetto XVI, il Papa – trinità terrena - affacciandosi ai balconi del suo palazzo e dai balconi televisivi, ha proclamato che:
“Se l’esercizio della sessualità diventa una droga che piega il partner ai propri desideri, allora ciò che si deve difendere non è più solo il vero concetto dell’amore ma in primo luogo la dignità della persona. Non permettiamo che il dominio della tecnica abbia a inficiare la qualità dell’amore e la sacralità della vita” (Avvenire 11.5.2008, pag. 8 ).
Attendiamo indicazioni sul dominio della natura.
….190, 192, 193, 194 chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro.

venerdì 2 maggio 2008

I replicanti

In questi giorni è ritornato in primo piano il corpo. Il corpo vivo, il corpo offeso, il corpo incorrotto.
Il corpo vivo, che gioioso riempie la mano che lo accarezza.
Il corpo offeso della donna austriaca violentata per anni dal proprio padre, dal quale ha avuto molti figli che hanno il padre ed il nonno in una unica persona: un mostro a due teste.
Ma è il corpo incorrotto di San Pio che desta più interesse. Tolto dalla tomba in mondovisione, trattato e poi posto in una teca trasparente, con la sua faccia coperta dalla sua faccia in silicone provenente dal Museo delle Cere di Londra.
Con le sue mani ricoperte da guanti per nascondere le stigmate che non ci sono.
E’ davanti al corpo di San Pio che passano migliaia di persone che vedono quello che non è.
E’ interessante ricordare che per quasi tutto il XX secolo in una capitale d’Europa, Mosca, davanti al corpo incorrotto di Lenin sfilarono milioni di persone che professavano il credo aTeo, così come oggi a San Giovanni Rotondo quelle che sfilano davanti al corpo di San Pio, professano la fede in Teo.
Corpo incorrotto che forse fra qualche secolo si potrà vedere esposto in un museo, come ora nei musei andiamo a vedere le mummie egiziane.
Corpo incorrotto che in quella teca forse è già in un museo senza che noi lo sappiamo.

mercoledì 30 aprile 2008

Auguri

1 maggio 2008
Tanti auguri Jacopo, un grande abbraccio a te ed alla tua vita

pap[a]y[a]